Scoperta proteina nel sangue collegata alla depressione

Il processo di invecchiamento è spesso correlato all’insorgenza di declino cognitivo, depressione e perdita di memoria. Scienziati dell’Institut Pasteur, del CNRS e dell’Inserm hanno scoperto che la somministrazione della proteina GDF11, nota per rigenerare le cellule staminali neurali murine, migliora le capacità cognitive e riduce lo stato depressivo nei topi anziani. Hanno anche dimostrato il meccanismo d’azione di questa proteina in diversi modelli murini.
Gli scienziati hanno quindi studiato ulteriormente questi risultati in relazione alla depressione, hanno dimostrato che negli esseri umani i livelli di GDF11 sono inversamente correlati agli episodi depressivi. I risultati di questo studio sono stati pubblicati il 2 febbraio 2023 nella rivista Nature Aging.
Il processo di invecchiamento è spesso correlato all’insorgenza di sintomi neurologici come declino cognitivo, perdita di memoria o disturbi dell’umore come la depressione. Precedenti studi hanno dimostrato che il fattore di crescita GDF11, una proteina presente nel sangue, ha un effetto benefico sulla percezione olfattiva e sulla generazione di nuove cellule nel cervello dei topi anziani. Il meccanismo d’azione di GDF11 nel cervello è rimasto sconosciuto.
I ricercatori dell’Institut Pasteur, del CNRS e dell’Inserm hanno scoperto che la somministrazione a lungo termine della proteina GDF11 a topi anziani migliora la loro memoria e riduce significativamente i disturbi comportamentali legati alla depressione, permettendo loro di tornare a un comportamento simile a quello visto nei topi più giovani.
Gli scienziati hanno condotto ulteriori studi su diversi modelli murini anziani o modelli murini con disturbi comportamentali simili alla depressione e colture neuronali in vitro, che hanno permesso loro di identificare il meccanismo molecolare d’azione del GDF11. Hanno scoperto che la somministrazione di GDF11 attiva nel cervello il naturale processo di pulizia intracellulare, chiamatoautofagia“, e l’eliminazione delle cellule senescenti. La proteina GDF11 aumenta quindi indirettamente il turnover cellulare nell’ippocampo e ripristina l’attività neuronale.
Scienziati dell’Institut Pasteur, del CNRS e dell’Inserm, in collaborazione con scienziati della McMaster University, per comprendere meglio il legame tra i disturbi depressivi e la proteina GDF11 negli esseri umani, hanno quantificato la proteina nel siero del sangue di una coorte internazionale di giovani pazienti con il Disturbo depressivo maggiore. Hanno osservato che i livelli di GDF11 sono significativamente più bassi in questi pazienti. Inoltre, misurando i livelli di questa proteina in diversi stadi, gli scienziati hanno osservato una fluttuazione del livello a seconda dello stato depressivo.
Il Disturbo depressivo maggiore, noto anche come depressione clinica, depressione maggiore, depressione endogena, depressione unipolare, disturbo unipolare o depressione ricorrente (nel caso di ripetuti episodi) è una patologia psichiatrica o disturbo dell’umore, caratterizzata da episodi di umore depresso accompagnati principalmente da una bassa autostima e perdita di interesse o piacere nelle attività normalmente piacevoli (anedonia), questo gruppo di sintomi (sindrome) è stato identificato, descritto e classificato come uno dei disturbi dell’umore nell’edizione del 1980 del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali edito dall’American Psychiatric Association.
Il Disturbo depressivo maggiore è una malattia invalidante che coinvolge spesso sia la sfera affettiva sia cognitiva della persona, influendo negativamente in modo disadattivo sulla vita familiare, lavorativa, sullo studio, sulle abitudini alimentari e riguardo al sonno, sulla salute fisica con forte impatto dunque sullo stile di vita e la qualità della vita in generale. La diagnosi si basa sulle esperienze auto-riferite dal paziente, sul comportamento riportato da parenti o amici e un esame dello stato mentale. Attualmente non esiste un test di laboratorio per la sua diagnosi. Il momento più comune di esordio è tra i 20 e i 30 anni, con un picco tra i 30 e i 40 anni.
Tipicamente i pazienti sono trattati con farmaci antidepressivi e spesso, in maniera complementare, anche con la psicoterapia. L’ospedalizzazione può essere necessaria quando vi è un auto-abbandono o quando esiste un significativo rischio di danno per sé o per gli altri. Il decorso della malattia è molto variabile: da un episodio unico della durata di alcune settimane, fino a un disordine perdurante per tutta la vita con ricorrenti episodi di depressione maggiore.
Lida Katsimpardi, ricercatrice dell’Unità di percezione e memoria dell’Institut Pasteur, affiliata all’Inserm presso l’Institut Necker-Enfants Malades, e co- ultimo autore dello studio, in conclusione ha affermato:
«Questo lavoro fornisce prove cliniche che collegano bassi livelli ematici di GDF11 ai disturbi dell’umore nei pazienti con depressione. In futuro, questa molecola potrebbe essere utilizzata come biomarcatore per diagnosticare episodi depressivi. Potrebbe anche servire come molecola terapeutica per il trattamento dei disturbi cognitivi e affettivi».

, ,
Avatar photo

About Pino Silvestri

Pino Silvestri, blogger per diletto, fondatore, autore di Virtualblognews, presente su Facebook e Twitter.
View all posts by Pino Silvestri →