Long Covid: la persistenza del virus SARS-CoV-2 nei polmoni e il ruolo dell’immunità innata

Una o due settimane dopo aver contratto il Covid-19, il virus SARS-CoV-2 generalmente diventa non rilevabile nel tratto respiratorio superiore, ma ciò significa che non è più presente nel corpo? Per scoprirlo un team dell’Istituto Pasteur specializzato in HIV, in collaborazione con un istituto di ricerca pubblico francese e la Commissione per le energie alternative e l’energia atomica (CEA), ha condotto uno studio sulle cellule polmonari in un modello animale.
I risultati hanno dimostrato non solo che il virus SARS-CoV-2 si trova nei polmoni di alcuni individui fino a 18 mesi dopo l’infezione, ma anche che la sua persistenza sembra essere legata a un problema di immunità innata (la prima linea di difesa contro gli agenti patogeni). La ricerca sulle cause legate al Long Covid è stata pubblicata nella rivista Nature Immunology.
È noto che alcuni virus persistono nell’organismo in modo discreto e non rilevabile dopo aver causato un’infezione. Rimangono in quelli che vengono definiti “serbatoi virali”. È il caso dell’HIV, che rimane latente in alcune cellule immunitarie e può riattivarsi in qualsiasi momento.
Potrebbe essere così anche per il virus SARS-CoV-2, che causa il Covid-19. È questa l’ipotesi avanzata da un team di scienziati dell’Istituto Pasteur nel 2021, ora confermata in un modello preclinico di primate non umano.
Michaela Müller-Trutwin professoressa presso l’Istituto Pasteur, e direttrice dell’unità HIV, infiammazione e persistenza, ha affermato:
«Abbiamo osservato che l’infiammazione persisteva per lunghi periodi nei primati che erano stati infettati dal virus SARS-CoV-2. Sospettavamo quindi che potesse essere dovuto alla presenza del virus nell’organismo».
Scienziati dell’Istituto Pasteur, in collaborazione con il centro IDMIT (Infectious Disease Models for Innovative Therapies) del CEA, per studiare la persistenza del virus SARS-CoV-2, hanno analizzato campioni biologici provenienti da modelli animali infettati dal virus. I primi risultati dello studio hanno indicato che i virus sono stati trovati nei polmoni di alcuni individui da 6 a 18 mesi dopo l’infezione, anche se il virus non era rilevabile nel tratto respiratorio superiore o nel sangue; un’altra scoperta è stata che la quantità di virus persistente nei polmoni era inferiore per il ceppo omicron rispetto al ceppo originale del virus SARS-CoV-2.
Nicolas Huot, primo autore dello studio e ricercatore dell’Unità HIV, Infiammazione e Persistenza dell’Istituto Pasteur, ha affermato:
«Siamo stati davvero sorpresi di trovare virus in alcune cellule immunitarie – i macrofagi alveolari – dopo un periodo così lungo e quando i normali test PCR erano negativi. Inoltre, utilizzando gli strumenti che abbiamo sviluppato per studiare l’HIV, dopo aver messo in coltura questi virus abbiamo potuto osservare che erano ancora in grado di replicarsi».
Gli scienziati per comprendere il ruolo dell’immunità innata nel controllo di questi serbatoi virali, hanno quindi rivolto la loro attenzione alle cellule NK (natural killer).
Michaela Müller-Trutwin ha affermato:
«La risposta cellulare dell’immunità innata, che è la prima linea di difesa dell’organismo, è stata finora poco studiata nelle infezioni causate dal virus SARS-CoV-2. Eppure è noto da tempo che le cellule NK svolgono un ruolo importante nel controllo delle infezioni virali».
Lo studio ha dimostrato che in alcuni animali i macrofagi infettati con il virsu SARS-CoV-2 diventano resistenti alla distruzione da parte delle cellule NK, mentre in altri le cellule NK sono in grado di adattarsi all’infezione (note come cellule NK adattative) e distruggere le cellule resistenti, in questo caso i macrofagi.
Lo studio ha quindi fatto luce su un meccanismo che potrebbe spiegare la presenza di “serbatoi virali”: mentre gli individui con un virus poco o per nulla persistente avevano una produzione di cellule NK adattive, gli individui con livelli più elevati del virus non solo non avevano cellule NK adattive, ma anche una riduzione dell’attività delle cellule NK. L’immunità innata, quindi, sembra avere un ruolo nel controllo dei virus SARS-CoV-2 persistenti.
Michaela Müller-Trutwin ha affermato:
«Intraprenderemo uno studio su una coorte infettata con il virus SARS-CoV-2 all’inizio della pandemia per scoprire se i serbatoi virali e i meccanismi identificati sono correlati ai casi di Long Covid. I risultati ottenuti rappresentano già un passo importante nella comprensione della natura dei serbatoi virali e dei meccanismi che regolano la persistenza virale».

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Pino Silvestri, blogger per diletto, fondatore, autore di Virtualblognews, presente su Facebook e Twitter.
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