Ricercatori sorpresi dalla scoperta di antichi cervelli umani ben conservati dai processi naturali

Il cervello umano è l’organo più sensibile e delicato del corpo, ciò spiega perché è protetto da un cranio dalle ossa spesse molto resistenti. È ancora più sorprendente apprendere che questa massa molle può sopravvivere per la maggior parte del tempo al decadimento di qualsiasi organo.
I ricercatori dell’Università di Oxford nel nuovo studio pubblicato nella rivista The Royal Society Publishing hanno catalogato oltre 4.400 cervelli umani conservati naturalmente, alcuni risalenti a 12.000 anni fa, questo archivio archeologico comprende i cervelli delle vittime sacrificali Inca, di popolazioni preistoriche e persino di esploratori del Polo Nord.
Il team di ricercatori ha affermato:
«Dalla metà del XVII secolo più di 4.400 cervelli umani sono stati portati alla luce analizzando la documentazione archeologica degli ultimi 12.000 anni, oltre 1.300 dei quali sono conservati tra resti altrimenti scheletrati. Nonostante questo volume di reperti, resta la percezione che i cervelli preservati rappresentino scoperte “uniche” o “estremamente rare”».

Sfidare il tempo e il decadimento
La conservazione dei tessuti molli umani, compreso il cervello, è spesso dovuta a processi ben conosciuti come la disidratazione, il congelamento e la concia, derivanti da azioni umane o da fattori naturali, non è insolito che il cervello sopravviva insieme ad altri organi interni nei casi in cui i tessuti molli sono ben conservati. I ricercatori hanno trovato cervelli nei resti essiccati delle sepolture del deserto, nei corpi congelati dei passi di montagna e nei corpi conciati trovati nelle paludi delle zone umide.
I ricercatori tuttavia, hanno anche identificato cervelli preservati senza altri tessuti molli, come accanto ad ossa antiche provenienti da uno stagno paludoso, alcuni di questi cervelli sono stati trovati in relitti affondati che galleggiavano accanto alle ossa.
Fino a questo studio, non c’era stato alcun impegno significativo per studiare sistematicamente i cervelli preservati, per capire perché durano più a lungo rispetto ad altri tessuti molli.
Gli scienziati per contestare l’idea che la conservazione del cervello sia rara, hanno creato un archivio di cervelli umani conservati provenienti da siti archeologici. Hanno condotto analisi statistiche per determinare la loro prevalenza, il modo in cui persistono e la diversità delle loro condizioni di conservazione. Hanno inoltre esaminato la natura dei tessuti nervosi conservati, e ne hanno mappato la distribuzione in tutto il mondo e nel tempo. Infine, hanno esplorato come lo studio di cervelli umani preservati, possa migliorare la nostra comprensione delle malattie antiche e della genetica.
Il confronto dei luoghi in cui sono stati ritrovati i cervelli con i dati climatici storici, fornisce indizi sui fattori che prevengono il decadimento cerebrale. Oltre un terzo dei campioni è rimasto intatto a causa della disidratazione, mentre altri si sono conservati tramite congelamento o concia. La condizione di questi cervelli variava ampiamente, da secco e fragile a morbido e di consistenza simile al tofu.

Cervelli arrugginiti
Alexandra Morton-Hayward antropologa forense ha affermato:
«È interessante notare che circa un quarto dei cervelli sono stati scoperti in corpi privi di qualsiasi altro tessuto molle preservato – senza pelle, reni o muscoli – lasciando solo un piccolo cervello perfetto e rimpicciolito che si muove all’interno di un cranio, in questi casi, i processi noti che preservano tutti i tipi di tessuto non possono spiegare perché questi cervelli resistano».
Il motivo esatto per cui questi cervelli rimangono preservati mentre altri tessuti molli si deteriorano rimane un mistero, ma potrebbe avere a che fare con la composizione chimica unica del cervello.
Il cervello ha un rapporto 1 a 1 tra proteine e lipidi, che è distinto da altri tessuti molli che contengono più carboidrati e hanno rapporti proteine/lipidi diversi. È un rapporto specifico che potrebbe essere cruciale, soprattutto quando vengono introdotti metalli come il ferro, che potrebbero far sì che proteine e lipidi si leghino insieme e durino più a lungo. Si è scoperto che molti di questi cervelli conservati contenevano ossido di ferro, noto anche come ruggine.
Il team di ricerca sta attualmente impiegando nuove tecniche per approfondire le interazioni molecolari che facilitano la conservazione del cervello. Il tessuto nervoso conservato potrebbe anche offrire un’opportunità senza precedenti per studiare le malattie neurologiche negli esseri umani antichi.
Alexandra Morton-Hayward in conclusione ha affermato:
«I meccanismi sono simili a quelli che vediamo nelle malattie neurodegenerative, come la demenza, quindi, se riusciamo a capire cosa sta succedendo al cervello dopo la morte, potremmo essere in grado di far luce anche su ciò che sta accadendo nell’invecchiamento cerebrale durante la vita».

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