Scoperta la risposta cellulare che protegge i suini dal Covid-19

Gli scienziati dello Iowa State University potrebbero aver scoperto un indizio importante che fa luce sul motivo per cui i maiali non si ammalano se esposti al coronavirus.
Gli studi dall’inizio della pandemia hanno rilevato che i suini possono essere infettati dal virus se esposti a dosi elevate, ma l’infezione è autolimitante e i maiali non mostrano segni clinici di malattia né trasmettono il virus ad altri animali.
Rahul Nelli, professore assistente di ricerca di medicina veterinaria diagnostica e di produzione animale, e Luis Gimenez-Lirola, professore associato di medicina veterinaria diagnostica e di produzione animale, hanno deciso di approfondire l’argomento, il loro studio è stato pubblicato nella rivista accademica Cell Death Discovery. Ciò che hanno scoperto potrebbe portare a nuovi metodi per curare gli esseri umani che contraggono il Covid-19, la malattia che deriva dall’infezione del virus SARS-CoV-2.
Rahul Nelli e Luis Gimenez-Lirola hanno studiato per anni come i coronavirus colpiscono i maiali. Hanno sviluppato modelli che consentono loro di studiare in dettaglio come i virus infettano i suini e le cellule dei suini e come le cellule rispondono per combattere l’infezione. Ora per gli ultimi esperimenti, hanno introdotto il virus in colture di cellule epiteliali respiratorie umane e suine, che rivestono la maggior parte del tratto respiratorio. Hanno scoperto che le cellule di maiale hanno subito l’apoptosi, o morte cellulare controllata, in risposta all’infezione a un tasso più elevato rispetto alle cellule epiteliali umane.
Rahul Nelli ha detto:
«Quando abbiamo guardato al microscopio c’era un fenomeno interessante in corso all’interno delle cellule, i nuclei delle cellule di maiale infette stavano iniziando a ridursi in frammenti, ma non in cellule di maiale non infette».
I ricercatori dello Iowa State University hanno evidenziato che quella distruzione del nucleo è un segno rivelatore di apoptosi, che può essere una chiave per aiutare i maiali a evitare i sintomi dopo l’esposizione a SARS-CoV-2. L’attivazione dell’apoptosi all’inizio dell’infezione provoca essenzialmente un minimo danno tissutale e limita la replicazione virale, limitando così la malattia grave.
Le cellule umane possono subire l’apoptosi anche in risposta all’infezione da coronavirus, ma lo studio ha scoperto che lo fanno molto meno frequentemente delle cellule suine, mediamente le cellule di maiale hanno circa 100 volte più probabilità di subire l’apoptosi rispetto alle cellule umane.
È più probabile che le cellule umane subiscano la necrosi, un’altra forma di morte cellulare meno controllata dell’apoptosi; durante la necrosi, il contenuto di una cellula si libera nello spazio circostante, provocando una forte risposta iperimmune che non viene attivata durante l’apoptosi.
I ricercatori ipotizzano che una risposta di apoptosi su larga scala sia utile per evitare la malattia perché elimina rapidamente le cellule infette senza che il sistema immunitario reagisca in modo eccessivo, mentre la necrosi su larga scala e la conseguente risposta iperimmune sono meno favorevoli alle cellule ospiti.
Luis Gimenez-Lirola ha detto:
«Non vogliamo esagerare, ma questa risposta è probabilmente qualcosa di inerente al sistema immunitario del maiale che è innato e non acquisito. L’idea è quella di uccidere il virus in modo delicato ma abbastanza veloce in maniera da non innescare un’eccessiva risposta immunitaria».
I ricercatori hanno affermato che ulteriori studi potrebbero portare a terapie progettate per innescare l’apoptosi nelle cellule umane, consentendo alle persone infette dal coronavirus di evitare sintomi gravi.
Il passo successivo per il gruppo di ricerca dello Iowa State University è identificare tutti i geni attivati durante il processo infettivo e confrontarli con altre specie animali in cui quei geni sono presenti. Ciò potrebbe fornire loro ulteriori indizi su come e perché altri animali, come i cervi, possono essere portatori del virus senza soffrire di sintomi di malattia.

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