Premier League: i giocatori musulmani stanno cambiando la cultura del calcio inglese

La Premier League quando è iniziata nel 1992, aveva un solo calciatore noto per essere musulmano, lo spagnolo Nayim centrocampista del Tottenham.
La massima divisione dell’Inghilterra ora ha quaranta giocatori musulmani, stanno incidendo in modo rilevante sulla cultura del gioco del calcio. Il Newcastle United il 5 febbraio 2012, durante la partita giocata allo St James’ Park contro l’Aston Villa, c’è stato un momento che ha simboleggiato l’impatto dei giocatori musulmani sulla Premier League: Demba Ba al trentesimo minuto, dopo aver segnato per la squadra di casa, è corso verso la bandierina, è stato raggiunto dal connazionale senegalese Papiss Cisse. I due devoti musulmani si sono inginocchiati in preghiera.
Il crescente afflusso di giocatori musulmani è stato alimentato dall’internazionalizzazione del calcio. I talent scout alla ricerca di nuovi talenti hanno lanciato le loro reti in un mare più ampio, ora la Premier League è diventata un luogo molto più diversificato.
I giovani che provengono da remoti villaggi dell’Africa occidentale o dai difficili quartieri di Parigi sono diventati star mondiali, hanno trovato la ricchezza e la fama nel gioco del calcio dei club inglesi, ma molti sono ancora aggrappati a qualcosa che è radicato nella loro identità culturale,  come la loro fede islamica che li guida e li conforta nei momenti duri.
Demba Ba l’anno scorso quando ha lasciato il Newcastle per andare al Chelsea, ha detto che i club non potevano non ascoltare le esigenze dei calciatori legati alla sua religione. I dirigenti e club interessati le hanno ascoltate, comprese e soddisfatte:
– i calciatori musulmani sono liberi di consumare cibo halal (lecito), preparato secondo le linee guida della legge islamica;
– hanno la possibilità di fare la doccia separata dal resto della squadra;
– hanno il tempo e il luogo dedicato alla preghiera.
Fino a poco tempo, tutti i giocatori della Premier League scelti come “uomo partita”, ricevevano in dono una bottiglia di champagne. Eppure, per i musulmani, l’alcol è proibito. Così quando Yaya Toure, centrocampista del Manchester City nel corso di un’intervista televisiva ha cortesemente rifiutato di accettare il suo premio, gli organizzatori sono stati costretti a prendere nota. Lo champagne è stato gradualmente eliminato, ora tutti i giocatori ricevono un piccolo trofeo.
I dirigenti del Liverpool quando ha vinto la Coppa di Lega nel 2012, per non fare “contaminare” con lo spruzzo dell’alcol gli abiti del loro medico di squadra, un devoto musulmano, hanno fatto spostare i suoi abiti fuori dallo spogliatoio.
Il problema che più impegna è la gestione dei giocatori musulmani nel periodo del Ramadan: come possono giocare ad alti livelli per novanta minuti senza mangiare e bere fino a diciotto ore il giorno? Alcuni giocatori, escluso il giorno della partita, praticano il digiuno tutti i giorni; altri si astengono solo durante gli allenamenti. I club tendono a cavarsela con qualche compromesso, ma non può essere un periodo facile per i giocatori.
Abou Diaby centrocampista dell’Arsenal ha detto:
«L’Arsenal preferiva non farmi digiunare, ha capito che il Ramadan è un momento speciale per me così ha cercato di venirmi incontro».
Demba Ba durante il Ramadan quando ho avuto problemi con l’allenatore è restato fermo, ha detto:
«Ogni volta che ho avuto un allenatore che non era entusiasta, gli ho detto: io faccio il digiuno, se il mio rendimento è buono continuerò a giocare, altrimenti resterò in panchina”».
Il Ramadan di quest’anno termina il 7 agosto, dieci giorni prima dell’inizio della stagione di Premier League.
I giocatori musulmani (tra questi Papiss Cisse, Nathan Ellington, Wonga), hanno manifestato problemi anche con le sponsorizzazioni delle squadre, quelle che sulle maglie fanno pubblicità al gioco d’azzardo e alle società finanziarie. Hanno detto di trovarsi a disagio perché passano per quelli che sono utilizzati per promuovere attività che contraddice l’insegnamento islamico.
Ali Al-Habsi, portiere della Wigan, sulla sponsorizzazione è meno critico, ha detto:
«Siamo calciatori, queste sono cose che dipendono dalla società di calcio, noi dobbiamo solo fare il nostro lavoro».
Ora i bambini che giocano a calcio nei parchi di Newcastle, dopo un goal sono stati visti inginocchiarsi come per pregare, non possono capire completamente che cosa significa, ma è un segno che le pratiche musulmane stanno diventando sempre più una parte della cultura popolare britannica.

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