Le interpreti giapponesi lottano per dare un significato al trumpese, il linguaggio del Presidente americano

Le interpreti giapponesi hanno detto di aver avuto esperienze da incubo nel tradurre i discorsi sconnessi di Donald Trump presidente degli Stati Uniti. Chikako Tsuruta, professoressa di studi sulla traduzione presso l’Università di Tokyo, interprete giapponese per le notizie della CNN, ABC e CBS, sul Presidente Donald Trump, ha detto:
«Raramente parla in modo logico, sottolinea solo un lato delle cose come se fosse la verità assoluta. Effettivamente in molte situazioni ho sospettato che le sue asserzioni fossero equivoche. Lui è troppo sicuro di sé ma è poco convincente, spesso con i miei colleghi scherziamo nel dire che tradurre le sue parole così come sono, ci farebbe sembrare stupide».
Le interpreti inglese-giapponese come Chikako Tsuruta dicono di essere esterrefatte da Trumpm dalla sua inosservanza di logica e fatti, così come durante la campagna presidenziale per il suo disinvolto utilizzo di una litania di osservazioni sessiste e razziste. Nessun problema quando erano impegnate a tradurre Barack Obama.
Le opinioni tra interpreti giapponesi sono divise, alcuni dicono che il linguaggio colorito di Trump deve essere neutralizzato, mentre altri assolutamente inflessibili, sostengono che non si dovrebbe esitare nel tradurre esattamente il significato delle parole in inglese. La difficoltà a tradurre Trump, dicono, ha poco a che fare con l’uso del suo linguaggio, in realtà non è un segreto che il “Trumpese”, così è chiamata la sua fraseologia, nel complesso è semplice, caratterizzata da ripetizione di frasi, facile grammatica e lessico a livello elementare.
L’analisi di leggibilità dei discorsi della campagna presidenziale, la ricchezza lessicale di Trump, è stata analizzata dai ricercatori del Language Technologies Institute della Carnegie Mellon University (LTI), lo scorso marzo ha rivelato che quando è stata confrontata con quella dei suoi rivali candidati ed ex presidenti degli Stati Uniti, è stata la più bassa, a livello di scuola media.
Lo studio ha anche descritto il suo livello grammaticale di grado 5 – 7 (scuola elementare, media), il peggiore dopo George W. Bush, che a malapena ha superato il livello di quinta elementare. Chikako Tsuruta sul particolare simbolico di questa caratteristica ha aggiunto:
«Il discorso inaugurale di Trump, è stato condito con un vocabolario di tutti i giorni, forse con l’eccezione della parola “carneficina“. Stranamente ha usato un gobbo per leggere il discorso del 20 gennaio, ha reso abbastanza coerente il flusso del suo discorso. Gli interpreti quando lui parla a braccio, hanno più probabilità di ritrovarsi a grattarsi la testa, spesso salta da un argomento all’altro scivolando su insulti e volgarità».
Miwako Hibi, interprete da più di venti anni ha detto:
«E’ molto difficile seguire la logica di Trump, in particolare la sua tendenza a fare nomi fuori dal contesto. Ricordo il terrore che ho provato il 9 novembre 2016 mentre stavo traducendo in diretta il discorso della sua vittoria, il presidente eletto Trump a un certo punto, ha fatto un riferimento a “Reince” e “Segretario” senza ulteriori precisazioni. Improvvisamente mi ha mandato in confusione, solo dopo che la telecamera ha fatto un primo piano sul volto di Reince, ho capito di chi stava parlando. Frettolosamente nella traduzione ho aggiunto che era Reince Priebus, il presidente del Comitato Nazionale Repubblicano.
La convenienza della lingua giapponese, è che in una frase permette di fare a meno di un soggetto, quindi, in questo particolare caso ho tradotto “Superstar” senza chiarire a cosa si riferisse, sono andata avanti così finché non ho avuto un quadro più completo. Purtroppo non sono stata così fortunata con “Segretario”, erroneamente ho pensato che fosse un modo alternativo utilizzato da Trump per riferirsi a Reince. Ho tradotto male, non mi è passato per la mente che stava parlando di un cavallo da corsa. E’ davvero difficile seguire il filo del discorso».
L’incoerenza di Trump e l’apparente disinteresse per il contesto non sono l’unica fonte di mal di testa per gli interpreti. Kumiko Torikai, interprete in pensione, per la dubbia moralità di Trump, evidenziata da una serie di osservazioni misogine e razziste che hanno accompagnato la sua campagna elettorale, ha fatto affiorare un amaro ricordo del perché – dopo 20 anni – nel 1968 rinunciò alla professione. Ha detto:
«Il compito dell’interprete è di tradurre le parole di un oratore esattamente come sono, non importa quanto efferate, bugiarde e scandalose. Bisogna mettere da parte tutte le emozioni personali e dare voce, è davvero difficile, non essendo consentito di dare il proprio giudizio su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, per questo ho smesso. Aggiungo che sono irremovibile sul “Trumpese”, non può essere abbellito, se il linguaggio di Trump è grossolano, deve essere tradotto in questo modo, non posso immaginarmi come interprete del nuovo presidente, con i suoi atteggiamenti sessisti e nazionalisti. Francamente, penso che è una persona molto pericolosa per svolgere il ruolo di presidente degli Stati Uniti. Prestare la mia voce per diffondere le sue idee sarebbe assolutamente intollerabile».
Mantenere un linguaggio volgare per gli interpreti può essere più facile a dirsi che a farsi, soprattutto per quelli che lavorano in radio e televisione, sono costantemente sotto pressione per sterilizzare le parolacce. Miwako Hibi ha detto che dove è possibile prova sempre a “neutralizzare” il linguaggio volgare.

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Pino Silvestri, blogger per diletto, fondatore, autore di Virtualblognews, presente su Facebook e Twitter.
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