La microplastica ha inquinato i nostri mari, laghi e fiumi, quanto è pericolosa?

La comunità scientifica globale dopo le prime notizie sull’inquinamento da microplastica nei nostri oceani e nelle spiagge, ha intensificato la propria attenzione in quest’area. I ricercatori da allora hanno trovato tracce di contaminazione da microplastiche ovunque, anche nei nostri laghi e fiumi, bevande e generi alimentari.
Natalia Ivleva, ricercatrice presso l’Università Tecnica di Monaco (TUM), ha sviluppato nuovi metodi analitici per l’identificazione e la quantificazione della microplastica. In questa intervista, condivide le sue ultime scoperte.

Che cos’è esattamente la microplastica?
In base alla definizione attuale, per microplastica s’intende qualsiasi frammento di plastica che misura da cinque millimetri fino a un micrometro, cioè un millesimo di millimetro. Le particelle di plastica più piccole – da un micrometro fino a 100 nanometri (nm) – sono definite sub-microplastiche. Le particelle sotto i 100 nm sono dette nanoplastiche. Gli studi dimostrano che la maggior parte delle particelle di plastica ha una dimensione inferiore al micrometrico.
Sia la microplastica sia la nanoplastica generalmente è formata dalla frantumazione di pezzi di plastica più grandi, per esempio, dalle borse della spesa, all’usura dei pneumatici di un’auto o quando si lava un capo di abbigliamento in microfibra. E poiché alcuni produttori stanno ancora inserendo la microplastica nei prodotti per la cura della persona, come il dentifricio e le microsfere contenute nello scrub, anch’essi sono fonte d’inquinamento da microplastica.

Perché dobbiamo preoccuparci dell’inquinamento da microplastica?
In realtà, non è ancora del tutto chiaro quanto siano pericolose le microplastiche per gli organismi viventi. Si sa che gli organismi acquatici e altre specie, compresi gli esseri umani, possono assorbire particelle microplastiche, ma questo da solo non dimostra la tossicità. Tuttavia, abbiamo anche accertato che le particelle di piccole dimensioni potrebbero avere la capacità di essere assorbite in alcuni tipi di tessuto corporeo negli organismi acquatici.
Ogni anno, gli esseri umani producono circa 400 milioni di tonnellate di plastica in tutto il mondo, una parte rilevante finisce nell’ambiente sotto forma di rifiuti, la maggior parte dei tipi di plastica impiega diverse centinaia di anni per degradarsi completamente.
Il risultato? Nei prossimi decenni, probabilmente nell’ambiente ci troveremo di fronte ad un consistente aumento dell’inquinamento. Sappiamo tutti che anche le sostanze inerti e non tossiche nell’ambiente possono avere effetti imprevisti quando raggiungono un certo livello di concentrazione.

Perché non sappiamo di più sugli effetti dell’inquinamento microplastico?
I ricercatori all’inizio, quando hanno capito che la microplastica stava entrando nell’ambiente a causa dell’attività umana, in determinati campioni hanno utilizzato metodi ottici per distinguere la plastica da altre particelle. Sfortunatamente, questo metodo non è molto affidabile, quando si osserva una particella di dimensioni inferiori a un millimetro, è difficile distinguere se si tratta di un granello di sabbia o di plastica, a quella dimensione hanno un aspetto molto simile: per esempio, per il progetto “MiWa, ” finanziato dal Ministero Federale Tedesco per l’Educazione e la Ricerca (BMBF), abbiamo fatto un’analisi chimica di circa 3.000 particelle di un campione d’acqua prelevato dal fiume Elba. E’ emerso nel campione che solo una particella su mille era effettivamente di plastica.
Il campione di acqua oltre al calcare e altre particelle minerali, conteneva anche molto materiale organico, per questo motivo è della massima importanza sviluppare metodi di analisi affidabili e standardizzate, altrimenti non c’è modo di confrontare accuratamente i diversi valori dei campioni.
Voglio sottolineare che nei campioni che abbiamo analizzato, si parla di concentrazioni molto basse di microplastica, pensiamo abbiano un effetto minimo sulla salute di un organismo vivente: in alcuni test per alte concentrazioni di microplastica sono stati misurati effetti negativi; nulla è emerso in altri test.
La presente ricerca è ancora agli albori, ciò non significa adottare l’atteggiamento di “aspettare e vedere”. Considerando la lentezza con cui la plastica si degrada, per noi è urgente trovare strategie per ridurre la quantità di rifiuti plastici che stiamo producendo.

Quali sono i metodi utilizzati per rilevare e identificare le particelle microplastiche?
In base alle domande che vi state ponendo, ora ci sono diversi metodi utilizzati per analizzare i campioni per la microplastica, ad esempio, l’analisi termica abbinata alla gascromatografia e alla spettrometria di massa, è utilizzata per determinare la quantità e i tipi di particelle plastiche e additivi che potrebbero essere presenti ma questi metodi non possono essere utilizzati per rilevare le dimensioni delle particelle.
I metodi spettroscopici possono essere utilizzati per determinare sia l’impronta chimica, sia la dimensione e la forma delle particelle microplastiche. La microspettroscopia a infrarossi può anche essere utilizzata per analizzare automaticamente particelle fino alla dimensione di 20 micrometri.
Nella nostra ricerca presso l’Istituto di idrochimica dell’Università Tecnica di Monaco (TUM), utilizziamo prevalentemente l’analisi microscopica Raman. Il Raman è un metodo spettroscopico non distruttivo, consente di compiere sia un’analisi dello spettro della firma sia di facilitare l’identificazione affidabile delle particelle. Utilizzando questo metodo, possiamo determinare se una particella è fatta di polimeri sintetici, oppure se è una sostanza naturale come la cellulosa o il quarzo.
Inoltre, questo metodo ci permette di determinare con precisione il tipo di plastica in un campione, accoppiando la potenza di uno spettrometro Raman con un normale microscopio ottico, possiamo analizzare particelle fino a un micrometro o anche più piccole. Il risultato: abbiamo la capacità in un dato campione di definire chiaramente il numero di particelle, la gamma di dimensioni delle particelle e i tipi di polimeri delle microplastiche.
Siamo stati in grado di confermare la presenza di particelle microplastiche nel tratto digestivo delle pulci d’acqua. Inoltre, in un progetto finanziato dal Ministero bavarese per l’ambiente e la protezione dei consumatori, abbiamo scoperto che i mitili ingeriscono soprattutto piccole particelle microplastiche, accumuli che abbiamo trovato in tutto il loro corpo.

Quali sono i prossimi passi della vostra ricerca?
Al fine di sviluppare conclusioni rappresentative e statisticamente affidabili sul livello di contaminazione microplastica, dovremo analizzare un gran numero di particelle per campione, per questo motivo nel progetto “MiPAq”, finanziato dalla Bavarian Research Foundation (BFS), stiamo lavorando anche all’automazione dei metodi basati sul Raman.
Le particelle di plastica nell’ambiente poiché si degradano in dimensioni sempre più piccole, presentano un potenziale di tossicità ambientale sempre più elevato: a tale scopo nell’ambito del progetto “SubμTrack” finanziato dal BMBF, il nostro istituto sta collaborando con altre sedie TUM per sviluppare metodi più accurati per l’analisi delle particelle molto piccole.
In primo luogo, utilizzando metodi di analisi standardizzati dovremo raccogliere un numero sufficiente di risultati confrontabili, per determinare quanta microplastica o nanoplastica è effettivamente presente in un dato campione. Solo allora possiamo iniziare ad analizzare gli effetti negativi che potrebbero essere causati da un certo livello di contaminazione microplastica o nanoplastica nell’ambiente, nell’uomo e in altre specie.

In futuro consiglieresti di vietare tutta la produzione di plastica?
Assolutamente no, la plastica è un materiale incredibilmente versatile e ha molti vantaggi rispetto ad altri materiali. Detto questo, è di fondamentale importanza per noi ridurre drasticamente la quantità di plastica che stiamo introducendo nell’ambiente. E non sono solo le aziende produttrici di plastica che devono assumersi la responsabilità e onere per questo, spetta anche a noi, consumatori, diventare più responsabili nel modo in cui usiamo, riutilizziamo, ricicliamo e smaltiamo la plastica.

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