Il “rivelatore di plagio” di Spotify mira a smascherare la musica non originale

Spotify ha brevettato un metodo che utilizza l’intelligenza artificiale per individuare il plagio nella musica, in grado di rilevare un “valore di somiglianza” tra le canzoni. La tecnologia “Plagiarism Risk Detector And Interface” sarà “addestrata su una pluralità di fake sheet (una forma di notazione musicale che specifica gli elementi essenziali di una canzone popolare: la melodia, i testi e l’armonia) per confrontare i nuovi brani con quelli presenti nel database di Spotify.
L’intelligenza artificiale calcolerebbe poi quanto è simile la canzone e definirebbe quale parte della canzone potrebbe violare il copyright di un altro artista. Spotify prevede anche che il materiale archiviato potrebbe essere usato per rafforzare l’originalità di una canzone, se l’algoritmo facesse affermazioni come “il frammento melodico [di una canzone] sembra essere completamente nuovo”.
Spotify immagina che il rilevatore di rischio di plagio potrebbe annotare le canzoni “in tempo reale”, mostrando nel brano dove potrebbe essere avvenuto il plagio, annotando il fake sheet “sotto forma di plug-in” al software esistente.
La società di streaming musicale evidenzia che attualmente “il rilevamento del plagio quando è effettuato manualmente, solitamente è eseguito da esperti e avvocati”. Spotify sostiene che la tecnica è “impraticabile” e “richiede una notevole competenza e non è adatta a essere utilizzata da artisti e compositori tipici, in particolare da artisti e compositori interessati a rilevare il plagio durante il processo di composizione. Il rilevamento assistito da software per il plagio di testi, d’altra parte, consente di confrontare tra loro vaste raccolte di documenti, rendendo molto più probabile il successo del rilevamento del plagio”.
Spotify se dovesse continuare a sviluppare questa tecnologia, non è chiaro come affronterebbe i suoni che sono stati copiati e ripetuti ampiamente in canzoni di generi molto diversi: Amen Break, un campione di sei secondi di batteria dei Winston, è stato usato negli anni ’80 nell’hip hop senza royalty per i proprietari, è apparso in oltre 2.000 brani come il tema Futurama e Straight Outta Compton dei N.W.A.; non solo, anche le progressioni degli accordi sono ripetute da numerosi artisti, così come le sonorità facilmente percepibili come il “Millennial Whoop“.
Il brevetto di Spotify da alcuni è stato criticato come potenziale strumento per la società per salvaguardare se stessa più degli artisti, suggerendo che potrebbe utilizzare lo strumento come misura preventiva per bloccare il plagio in caso di una causa legale, ma che gli artisti probabilmente scoprirebbero che l’utilizzo dello stesso strumento proprietario e non testato non proteggerebbe se stessi dalle rivendicazioni di violazione del copyright.
George Howard, professore di business musicale al Berklee College e co-fondatore del Music Audience Exchange e di Tunecore, ha detto:
«Non credo che in nessun scenario si possa dire che il movente di Spotify sia quello di aiutare gli artisti. La musica e i podcast sono il loro prodotto, se questo è il loro lavoro, diventa uno strumento per proteggersi da eventuali controversie o per generare più opere per le quali non devono pagare i diritti d’autore. Io stesso come artista e musicista, li trovo entrambi offensivi».
Spotify ha detto che non tutti i brevetti diventano parte del suo prodotto, ma non ha voluto dire se sono stati implementati o no. L’uso dell’intelligenza artificiale per individuare il plagio nelle canzoni potrebbe sfociare in una corsa agli armamenti tecnologici, dato che l’intelligenza artificiale è utilizzata anche per creare canzoni. Servizi come IBM Watson Beat, NSynth Super di Google Magenta, Jukedeck – e persino il Creator Technology Research Lab di Spotify – si stanno già sviluppando per aiutare gli artisti a creare musica.
Teoricamente, si teme che l’intelligenza artificiale possa ridurre l’individualità della musica, usando algoritmi per “stipare dei semplici e semplicistici brani musicali nelle nostre cavità uditive da qui alla fine dei tempi”.
Tuttavia, gli artisti hanno fatto un passo indietro su questa idea, non perché non esista, ma perché già accade. Claire Evans del gruppo elettropop statunitense Yacht, che utilizza il machine learning sulla loro musica, riferendosi al famigerato produttore dietro una partitura di una ventina di singoli popolari, ha detto: «Quell’algoritmo esiste, si chiama Dr. Luke».
Ora resta vedere come funzionerà il brevetto di Spotify, anche YouTube ha un rivelatore algoritmico dei diritti d’autore per i video caricati sulla sua piattaforma, ha ripetutamente dimostrato di essere difettoso: nel 2018, un video di 10 ore di rumore bianco ha dato luogo a cinque violazioni del diritto d’autore contro di esso; nel 2012 un utente di YouTube ha dovuto sostenere il diritto d’autore sul canto degli uccelli che è stato catturato sullo sfondo di uno dei loro video.

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About Pino Silvestri

Pino Silvestri, blogger per diletto, fondatore, autore di Virtualblognews, presente su Facebook e Twitter.
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