Il consumo a lungo termine di allergeni alimentari può portare a cambiamenti di comportamento e umore

Kumi Nagamoto-Combs neuroscienziata presso il Dipartimento di Scienze Biometiche dell’Università del Nord Dakota, svolge la sua ricerca nel settore delle neuroscienze, neuroimmunologia, allergia alimentare, modelli murini. Insieme al suo team studia come il cervello è influenzato dalle allergie alimentari. Ha affermato:
«Il mio interesse a questo argomento è nato quando ho scoperto che alcuni membri della mia famiglia avevano un’ipersensibilità al latte vaccino. Alcuni evitano totalmente i latticini perché hanno manifestato sintomi gravi e potenzialmente letali. Coloro che occasionalmente mangiano latticini non hanno tipiche reazioni allergiche, ma uno o due giorni dopo sembrano sviluppare malattie apparentemente non correlate».
Kumi Nagamoto-Combs ha spiegato che la prevalenza delle allergie alimentari è in aumento in tutto il mondo, avvicinandosi a un livello epidemico in alcune regioni, solo negli Stati Uniti, circa il 10% dei bambini e degli adulti soffre di allergie alimentari, con le più comuni allergie al latte vaccino, alle uova, alle arachidi e alla frutta a guscio; altri pazienti hanno sintomi lievi che potrebbero non richiedere cure mediche, lasciando questi casi non segnalati.
Le allergie alimentari, o ipersensibilità alimentari, derivano dalla reazione eccessiva del sistema immunitario a proteine tipicamente innocue negli alimenti, possono manifestarsi come uno spettro di sintomi che vanno da prurito, arrossamento e gonfiore per reazioni più lievi, a vomito, diarrea, difficoltà respiratorie e altri sintomi potenzialmente letali per reazioni gravi.
Le allergie alimentari oltre all’autosegnalazione, possono essere diagnosticate esponendo i pazienti a tracce di proteine nocive, o allergeni, attraverso la bocca o la pelle e osservando le loro immediate reazioni. I medici normalmente utilizzano esami del sangue per misurare i livelli di immunoglobulina E, o IgE, un anticorpo specializzato che il sistema immunitario utilizza per identificare gli allergeni e innescare una risposta. Sebbene gli individui sani possano avere bassi livelli di IgE nel sangue, i pazienti con allergie alimentari hanno livelli molto più alti che aumentano il rischio di avere gravi reazioni allergiche.
È bene sapere che alcune persone che risultano positive ai test allergologici cutanei con aumenti moderati delle IgE, non notano alcun sintomo correlato all’allergia quando mangiano l’allergene, questa condizione talvolta è indicata come “sensibilizzazione asintomatica”. Le persone con questa condizione, in molti casi potrebbero non essere nemmeno consapevoli di avere un’ipersensibilità alimentare, ma sono veramente asintomatici? O ci sono effetti all’interno del loro corpo di cui non sono a conoscenza?
Kumi Nagamoto-Combs ha detto:
«Ciò che io e altri ricercatori abbiamo scoperto è che gli allergeni alimentari possono influenzare il cervello e il comportamento nelle persone ipersensibili, anche se non hanno i tipici sintomi di allergia alimentare».

Allergie alimentari legate a disturbi comportamentali
Kumi Nagamoto-Combs e il team di ricercatori sospettano da decenni che l’ipersensibilità alimentare sia una potenziale causa di disturbi comportamentali, hanno fatto riferimento a un caso clinico del 1949 descriveva disturbi comportamentali e dell’umore nei pazienti dopo aver mangiato determinati cibi, come latte e uova. I loro sintomi sono migliorati dopo aver rimosso i cibi sospetti dalla loro dieta, suggerendo che il probabile colpevole fosse un’ipersensibilità alimentare.
Kumi Nagamoto-Combs ha detto:
«Ero incuriosita dal fatto che i pazienti fossero stati in grado di mangiare i cibi incriminati fino a quando non avevano scelto di evitarli. In altre parole, erano asintomaticamente sensibilizzati, o tolleranti, agli allergeni».
Recenti studi sulle persone hanno supportato l’associazione tra allergie alimentari e vari disturbi neuropsichiatrici, tra cui depressione, ansia, disturbo da deficit di attenzione/iperattività e autismo, rafforzando la possibilità che alcune reazioni agli allergeni alimentari possano coinvolgere il sistema nervoso e manifestarsi come disturbi comportamentali.
L’idea che l’ipersensibilità alimentare causi disturbi neuropsichiatrici tuttavia è ancora controversa a causa delle incongruenze tra gli studi. Le differenze tra i partecipanti allo studio nei tipi di allergie, origini etniche, abitudini alimentari e altri fattori, possono produrre risultati contrastanti, e ancora più importante, alcuni studi includevano quelli con allergie alimentari autoriportate, mentre altri includevano solo quelli con allergie alimentari confermate in laboratorio. Ciò ha limitato le indagini ai soli individui sintomatici.

Ipersensibilità alimentare, cervello e comportamento
Kumi Nagamoto-Combs nel suo laboratorio ha verificato l’incidenza degli allergeni alimentari nel manifestarsi come sintomi comportamentali, in particolare in individui asintomaticamente sensibilizzati. Insieme al suo team voleva scoprire se mangiare cibi nocivi potesse portare a infiammazione cerebrale e cambiamenti comportamentali dopo la sensibilizzazione, per ridurre al minimo le differenze individuali riscontrate negli studi sull’uomo, anche in assenza di altre evidenti gravi reazioni,  hanno deciso di lavorare con i topi.
Kumi Nagamoto-Combs e il suo team hanno sensibilizzato topi della stessa età e background genetico al comune allergene del latte β-lattoglobulina, o BLG, e li hanno alimentati con la stessa dieta nella stessa stanza. Il team di ricercatori ha scoperto che mentre i topi sensibilizzati al BLG producevano livelli moderatamente ma significativamente elevati di IgE, non mostravano reazioni allergiche immediate. Avrebbero persino potuto mangiare cibo contenente l’allergene del latte per due settimane senza mostrare alcun sintomo evidente, nonostante mantenessero livelli elevati di IgE. Ciò indicava che erano sensibilizzati in modo asintomatico.
Il team di ricercatori quindi ha osservato possibili cambiamenti nei topi nel comportamento emotivamente guidato. Poiché non potevano chiedere ai topi come si sentivano, hanno dedotto i loro “sentimenti” osservando i cambiamenti rispetto al loro normale comportamento orientato alla sopravvivenza.
I topi esplorano istintivamente il loro ambiente per cercare cibo e riparo evitando potenziali pericoli, tuttavia, quelli “ansiosi” tendono a passare più tempo a nascondersi per andare sul sicuro. Il team di ricercatori ha identificato i topi “depressi” tenendoli brevemente per la coda, constatando che la maggior parte dei topi continuava a lottare per uscire dalla scomoda situazione, mentre i topi depressi si arrendevano rapidamente.
Il team di ricercatori ha detto che i loro esperimenti sono stati progettati per simulare situazioni in cui individui asintomaticamente sensibilizzati, mangiano in un giorno una grande quantità di un alimento nocivo, o piccole quantità ogni giorno per alcune settimane. Hanno imitato queste situazioni inserendo con un tubo di alimentazione, una grande quantità di allergene del latte direttamente nello stomaco dei topi sensibilizzati, o dando loro un po’ alla volta cibo per topi contenente allergene.
È interessante notare che i topi sensibilizzati al BLG il giorno dopo aver ricevuto una grande quantità di allergene, hanno mostrato un comportamento simile all’ansia; un altro gruppo di topi sensibilizzati ha sviluppato un comportamento simile alla depressione dopo aver mangiato piccole quantità di allergene per due settimane. Inoltre, i topi sensibilizzati al BLG hanno mostrato segni di infiammazione cerebrale e danno neuronale, suggerendo che i cambiamenti nel cervello potrebbero essere responsabili dei loro sintomi comportamentali.
Il team di ricercatori ha anche studiato l’effetto a lungo termine del consumo di allergeni, mantenendo per un mese i topi sensibilizzati al BLG sulla dieta contenente allergeni, hanno scoperto che alla fine del mese i livelli di IgE erano diminuiti nei topi sensibilizzati, indicando che il consumo continuo di piccole quantità di allergene ha portato a una diminuzione delle risposte immunitarie, o “desensibilizzazione”; al contrario, sono rimasti presenti i segni di infiammazione cerebrale, suggerendo che l’effetto dannoso degli allergeni persisteva nel cervello.

Infiammazione cerebrale cronica
I ricercatori nelle persone che sono sensibilizzate asintomaticamente devono ancora studiare l’infiammazione cerebrale prolungata, o neuroinfiammazione, in generale, tuttavia, la neuroinfiammazione cronica è un noto contributore alle malattie neurodegenerative, come la sclerosi multipla e il morbo di Alzheimer, sebbene le cause esatte di queste malattie siano sconosciute.
I ricercatori hanno detto che una migliore comprensione del ruolo svolto dagli allergeni nella neuroinfiammazione, può aiutare a chiarire se gli allergeni alimentari tendono a innescare l’infiammazione cronica che può portare a queste malattie. È una conoscenza che potrebbe essere particolarmente importante per i pazienti sottoposti a immunoterapia orale, per il trattamento delle allergie, protratta nel tempo comporta l’ingestione incrementale di piccole quantità di allergeni. L’obiettivo è desensibilizzare il sistema immunitario e ridurre l’incidenza di anafilassi o reazioni allergiche potenzialmente letali.
La Food and Drug Administration degli Stati Uniti per prevenire l’anafilassi nei pazienti pediatrici idonei, ha approvato nel 2020 una forma standardizzata di allergeni delle arachidi, tuttavia, il suo possibile effetto a lungo termine sul sistema nervoso è sconosciuto.
Il team di ricercatori in conclusione ha detto che gli allergeni alimentari possono influenzare il cervello e il comportamento di persone apparentemente asintomatiche, rendendole meno asintomatiche dal punto di vista neurologico. Considerare come il nostro cervello risponde al cibo che mangiamo dà un significato completamente nuovo alla frase “Tu sei quello che mangi”.

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About Pino Silvestri

Pino Silvestri, blogger per diletto, fondatore, autore di Virtualblognews, presente su Facebook e Twitter.
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