Il blocco delle importazioni di rifiuti di plastica in Cina ha messo in crisi l’industria globale del riciclaggio

Hilary Clarke giornalista freelance, collabora anche con South China Morning Post, ha scritto che il crollo delle importazioni di rifiuti di plastica in Cina, il cosiddetto yanglaji, o “spazzatura straniera”, ha gettato l’industria del riciclaggio globale in un vortice.
Hilary Clarke nel suo articolo analizza l’impatto del divieto e come la Cina ha programmato di gestire la propria spazzatura di plastica.

Chiunque cerchi di comprendere l’enormità del problema dei rifiuti di plastica affrontato dalla Cina, dovrebbe guardare il pluripremiato documentario “Plastic China“.
Il toccante film del 2017 è un racconto di due famiglie (quella del proprietario e quella di un’emigrante rurale) ambedue vivono in una fabbrica di riciclaggio dei rifiuti di plastica artigianale alla periferia di Pechino. Diretto da Jiuliang Wang, la storia è raccontata attraverso gli occhi della figlia del raccoglitore di rifiuti, una bambina di 11 anni alla disperata ricerca di andare a scuola ma costretta a stare in casa e aiutare la sua famiglia, condannata a un’esistenza tra mucchi di rancidi rifiuti stranieri.

“Plastic China” ha ottenuto riconoscimenti internazionali nei festival cinematografici di tutto il mondo, rapidamente è diventato virale su Internet in Cina, prima di essere improvvisamente messo offline.
I rifiuti di plastica sono un punto dolente in Cina, secondo la società di consulenza internazionale McKinsey, fino all’anno scorso, era il più grande importatore mondiale di rifiuti non biodegradabili: nel 2016, ha importato circa l’87% dei rifiuti degli Stati Uniti e il 69% dei rifiuti giapponesi.
Lo studio del 2018 pubblicato su Science Advances Journal afferma che dal 1992 la Cina ha importato il 45% dei rifiuti di plastica del mondo.
La Cina negli anni ’80, mentre procedeva spedita verso lo sviluppo industriale seguendo le riforme economiche di Deng Xiaoping, aveva bisogno che i rifiuti di plastica fossero trasformati e riutilizzati per la produzione e la costruzione, e anche come materia prima per fornire resina vergine per l’industria delle materie plastiche del paese.
Tuttavia, molte materie plastiche negli imballaggi dei nostri giorni non sono riciclabili, i rifiuti sono diventati rapidamente una fonte di contaminazione ambientale.
L’economia cinese quando si è spostata verso la produzione di grado più elevato e la sua industria petrolchimica ha sviluppato le dovute capacità tecnologiche, ha ridotto la necessità di importare materie plastiche.
Jenna Jambeck, ingegnere ambientale presso l’Università della Georgia, uno dei massimi esperti in materia d’inquinamento plastico degli oceani, ha detto:
“Nei paesi in rapido sviluppo economico, l’infrastruttura per la gestione dei rifiuti è a volte uno degli ultimi temi da affrontare. Spesso gli ingegneri e la società si occupano di questioni che riguardano l’acqua potabile pulita, mettendo in secondo piano i rifiuti”.
La Cina prima delle Olimpiadi di Pechino 2008 è diventata uno dei primi paesi al mondo a vietare i sacchetti di plastica. Il divieto che si tratti di una manovra cinica per migliorare l’immagine internazionale della Cina o di un’autentica dichiarazione ecologica globale, faceva parte di un flusso di disposizioni legislative degli ultimi due decenni che ha portato ad una maggiore consapevolezza ambientale della Cina.
Isabelle Hilton, giornalista e attivista, editrice del podcast “China Dialogue”, ha detto:
“C’è stata un’enorme evoluzione del pensiero in Cina, il punto di vista nel 2006, era: “Prima sviluppare, poi ripulire. L’ambiente è qualcosa che i paesi ricchi possono permettersi; i paesi poveri non possono”.
La gente quando la rivoluzione industriale cinese è arrivata alle fasi finali, ha capito che il costo ambientale era davvero molto alto”.
Pechino nel 2010 nell’ambito del programma “Green Fence” ha iniziato ad affrontare il problema dei rifiuti di plastica con una serie di misure repressive sulle importazioni, ha imposto restrizioni temporanee alla plastica meno pura e quindi meno gestibile. Allo stesso tempo, ha intensificato le ispezioni nei porti in banchina e negli uffici degli importatori per assicurarsi che fossero conformi.
L’impatto non è stato sufficiente, così con il programma “National Sword”, ha chiuso il mercato cinese per quasi tutte le importazioni di rifiuti di plastica.
Pechino nel luglio 2018, ha fatto notizia, ha gettato l’industria globale del riciclaggio in un vortice quando ha annunciato all’Organizzazione Mondiale del Commercio che la Cina avrebbe vietato 24 tipi di rifiuti solidi, tra cui quasi tutti i rifiuti di plastica e carta che i cinesi chiamano yanglaji, o rifiuti stranieri.
Praticamente quasi tutte le autorità locali di ogni città d’Europa e degli Stati Uniti si erano affidate alla spedizione di rifiuti urbani in Cina. Il presidente Xi Jinping, tuttavia, ha ignorato le loro proteste, ha iniziato ad attuare appieno le nuove politiche nel gennaio 2018.
L’impatto è stato senza precedenti, secondo l’Amministrazione generale della dogana cinese, nel 2018 le spedizioni di rifiuti di plastica sono scese di uno sbalorditivo 99,1 per cento su base annua. anche se le aziende cinesi hanno continuato a importare circa 50.000 tonnellate di rifiuti di plastica nel 2018, mantenendola tra i primi importatori mondiali, ma questa è solo una frazione delle circa 570.000 tonnellate acquistate nel 2017.
La Cina vietando l’importazione di rifiuti di plastica avrebbe dovuto dare l’esempio ad altri paesi in via di sviluppo, ma le restrizioni hanno fatto sì che specialmente in Asia, inizialmente hanno visto un aumento delle importazioni di rifiuti di plastica. Il sito statunitense Resource Recycling, riporta che la Thailandia ha importato quasi 545.000 tonnellate di rifiuti di plastica nel 2018, più del triplo delle circa 153.000 tonnellate inviate nel 2017.
Simon Ellin, amministratore delegato dell’ente commerciale The Recycling Association, ha detto:
“Alcuni paesi sono stati visti come destinazioni alternative per la plastica, ma poi hanno deciso di implementare i propri divieti. Altri, come il Vietnam e la Malesia, hanno varato le loro rigorose politiche d’importazione, il che significa che la quantità di materiale esportato in quei paesi è scesa al minimo. Infatti, la Malesia sta progettando un divieto totale entro tre anni”.
Gli ambientalisti di Hong Kong hanno accolto con favore le restrizioni cinesi all’importazione di tutti i rifiuti di plastica, ad eccezione dei rifiuti di plastica più puri. Doug Woodring, fondatore di Ocean Recovery Alliance con sede a Hong Kong e negli Stati Uniti, lo scorso aprile a Forbes Magazine, ha detto: “Dovremmo festeggiare quello che è successo”.
La sua organizzazione è un importante sostenitore della bonifica delle acque di Hong Kong dalla plastica, ora è un problema tale che le microplastiche sono state trovate all’interno del pesce cefalo, un popolare piatto locale.
Doug Woodring ha aggiunto:
“E’ lo shock di cui il mondo aveva bisogno per le tecnologie e le soluzioni a terra. Lo chiamo il più grande tsunami terrestre che il mondo abbia mai visto. La maggior parte dei paesi occidentali non ha idea di cosa fare, tutti sono stati colpiti dal problema della plastica che ha usato e spedito all’estero”.
Lo “tsunami” puzzolente, il più grande campanello d’allarme per il crescente problema dei rifiuti plastici che il mondo ha visto, si è propagato e ha colpito le coste straniere. L’Unione Europea un mese dopo il divieto della Cina, ha annunciato una strategia sul riciclaggio delle materie plastiche con l’obiettivo di eliminare tutti gli imballaggi di plastica sul mercato europeo entro il 2030.
China National Sword il programma d’ispezione doganale della Cina, ha lasciato aperta una porta d’esportazione, ha permesso di riciclare balle di plastica di scarto che contenevano meno dello 0,5 per cento di materiale riciclabile non contaminato, rispetto ai precedenti permessi del 4-5 per cento.
Città come San Francisco, dove gli standard ambientali e la conoscenza in materia sono elevati, ha iniziato a differenziare i rifiuti per raggiungere gli obiettivi cinesi. Recology, l’azienda di recupero che si occupa dei rifiuti della città, ha immediatamente assunto altri selezionatori di rifiuti e ha iniziato a sviluppare macchine di differenziazione ottica all’avanguardia, separano la plastica riciclabile da altri materiali.

La Cina con i suoi contaminanti plastici è il più grande inquinatore marino
Il muro normativo e legislativo della Cina per impedire che il paese diventasse la discarica di rifiuti del mondo non ha fermato il suo fiorente problema dei rifiuti plastici locali: nel 2013 è diventata il maggiore produttore mondiale di rifiuti di plastica; nel 2016 ha rappresentato circa un quarto dei 280 milioni di tonnellate generate a livello globale.
L’urbanizzazione della popolazione, l’aumento degli acquisti online e del cibo da asporto ha portato a un drastico aumento della quantità di plastica e rifiuti domestici in Cina, nel 2016 i rifiuti solidi urbani della nazione ammontavano a 200 milioni di tonnellate, la Banca Mondiale prevede che entro il 2025 supererà i 500 milioni di tonnellate l’anno.
La città di Pechino nel 2017, ha prodotto poco più di nove milioni di tonnellate di rifiuti domestici, la cifra è in costante aumento, circa il 40 per cento di questi rifiuti finisce in centinaia di discariche ufficiali e decine di migliaia di discariche illegali in tutta la Cina.
Pechino dal 2006, sta cercando di chiudere le discariche ma, nonostante gli sforzi del governo, si stima che dal 10 al 20 per cento dei rifiuti in Cina sia ancora in discarica. E’ preoccupante perché gran parte di questi rifiuti penetra negli oceani causando un inquinamento da plastica in mare.
Il fiume Yangtze in Cina, che sfocia nel Mar Cinese Orientale vicino a Shanghai, è il terzo più grande al mondo e anche il più grande “oleodotto” di rifiuti di plastica nell’oceano. Attraversa 19 province cinesi, si stima che lungo il suo corso vivono da 400 a 500 milioni di persone.
Il fiume Yangtze passa anche attraverso le zone rurali, gli abitanti sono molto indietro nel riciclaggio della plastica, getta il 95% dei loro rifiuti nell’ambiente, compreso il fiume.
Le cifre sulla quantità di plastica depositata nel fiume Yangtze variano notevolmente, secondo Helmholtz Centre for Environmental Research della Germania, dei 2,75 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica trasportati ogni anno nell’oceano dai fiumi, 1,5 milioni (55%) fuoriescono dal fiume Yangtze.
Lo studio di Laurent Lebreton, autore di molti libri e studi sulla plastica marina, ha scoperto che il fiume Yangtze ha riversato nell’oceano 333.000 tonnellate di rifiuti di plastica nel 2017, il triplo del suo rivale più vicino, il Gange in India e Bangladesh.
Il team di ricercatori negli Stati Uniti e in Australia guidato da Jenna Jambeck (conduce ricerche e insegna ingegneria ambientale con particolare attenzione ai rifiuti solidi), ha analizzato i livelli di rifiuti plastici negli oceani del mondo, ha scoperto che la Cina (seguita dall’Indonesia) dal 2013 è di gran lunga il più grande inquinatore marino, responsabile del 27,7 per cento dei contaminanti plastici che entrano ogni anno nei nostri oceani. Le due nazioni insieme, rappresentano circa il 37% dei detriti di plastica che arrivano in mare.
Il problema principale della Cina rimane la raccolta e la gestione dei rifiuti. La maggior parte della spazzatura cinese ancora oggi è gestita da centinaia di migliaia di raccoglitori di rifiuti di plastica, metalli e carta.
La società di consulenza McKinsey ha scoperto che solo l’11% della plastica cinese è riciclata e che oltre l’80% della plastica dell’oceano è costituita da rifiuti non raccolti. Christine Loh, ex sottosegretario per l’ambiente di Hong Kong, importante sostenitrice dell’ambiente, ha detto:
“Ogni tipo di rifiuti ha bisogno di un proprio piano di trattamento. Ciò che serve è che le persone separino i rifiuti organici. Richiede un’intera azione a catena della domanda e dell’offerta. E’ tutta una questione di selezione, questo è ciò che la Cina sta cercando di fare”.
Il governo cinese nel 2017 ha ordinato a 46 città di iniziare la raccolta differenziata dei rifiuti, con un obiettivo di riciclaggio del 35 per cento entro il 2020 per le città più piccole e del 75 per cento per quelle più grandi. Lo scorso luglio ha anche annunciato un programma per le città pilota a rifiuti zero.
Circa un terzo dei 323 quartieri registrati a Pechino, hanno iniziato la raccolta differenziata dei rifiuti domestici, si spera che entro il 2020 questa cifra salirà al 90 per cento.
Simon Ellin della Recycling Association inglese ha detto:
“La Cina sta recuperando rapidamente il ritardo nello sviluppo delle proprie infrastrutture di raccolta e riciclaggio dei rifiuti. Ha ancora molta strada da fare, ma il suo recente annuncio di città pilota a rifiuti zero informerà su come sviluppare processi di raccolta, selezione e riciclaggio adatti alla sua popolazione”.
L’agenzia di stampa cinese Xinhua riporta che le autorità locali nella città di Lanzhou, hanno creato molti centri di riciclaggio permanenti e mobili. I residenti locali possono chiamare il personale addetto per raccogliere i rifiuti a domicilio. E’ stata attivata anche una piattaforma in linea, dove i locali possono inviare messaggi e ricevere informazioni inerenti il riciclaggio.
Pattumiere “intelligenti” nel frattempo sono state collocate nei college della città e nelle comunità in cui le persone possono smaltire la spazzatura e raccogliere “punti di credito”. Ottenere abbastanza punti, permette di scambiarli con le merci.
Il problema è che, qualunque cosa tu faccia, circa la metà della plastica non è riciclabile, la Cina per ridurre la quantità sta scommettendo sulle centrali termoelettriche. Attualmente ci sono 230 inceneritori di energia da rifiuti, con almeno un altro centinaio di progetti, tra cui il più grande del pianeta, è in costruzione a Shenzhen, il completamento è previsto per il prossimo anno.
L’impianto Waste-to-Energy di Shenzhen una volta terminato, si estenderà per un chilometro, brucerà 5.000 tonnellate di rifiuti il giorno, generando 165 MW di elettricità.
Il progetto è a livello internazionale: gli architetti sono di due ditte danesi; le aziende cinesi stanno costruendo la pianta; la caldaia è prodotta da Babcock & WilcoxVølund, la consociata danese del gigante dell’ingegneria statunitense.
Ci sono già state proteste locali contro l’inquinamento della pianta e il suo impatto ambientale. E’ inevitabile che le tossine dei gradi più bassi della combustione della plastica causino danni ambientali in un paese che ha già alcuni dei peggiori tassi d’inquinamento atmosferico del mondo.
Simon Ellin dice che mentre i programmi di termovalorizzazione avranno un ruolo da svolgere nell’aiutare la Cina a risolvere il suo problema dei rifiuti di plastica, richiederà, come per tutti gli altri paesi del mondo, un’economia circolare, con l’incenerimento come ultima scelta».

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Pino Silvestri, blogger per diletto, fondatore, autore di Virtualblognews, presente su Facebook e Twitter.
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