Identificati gli anticorpi che possono neutralizzare la variante omicron

Il team internazionale di scienziati che ha identificato gli anticorpi che neutralizzano la variante omicron e altre varianti di SARS-CoV-2, ha evidenziato che questi anticorpi prendono di mira le aree della proteina spike del virus che sostanzialmente, quando i virus mutano,  rimangono invariate.
David Veesler, ricercatore presso l’Howard Hughes Medical Institute e professore associato di biochimica presso l’University of Washington School of Medicine di Seattle, ha affermato:
«Identificando i bersagli di questi anticorpi “ampiamente neutralizzanti” sulla proteina spike, sarà possibile progettare vaccini e trattamenti anticorpali efficaci non solo contro la variante omicron, ma anche contro altre varianti che potrebbero emergere in futuro. La scoperta ci dice che concentrandosi sugli anticorpi che prendono di mira questi siti altamente conservati sulla proteina spike, c’è un modo per superare la continua evoluzione del virus».
David Veesler ha guidato il progetto di ricerca con Davide Corti presso la società di biotecnologie terapeutiche anticorpali Humabs Biomed una consociata di Vir Biotechnology azienda leader nella terapia anticorpale in Svizzera.
Lo studio è stato pubblicato nella rivista Nature. Gli autori principali dello studio sono stati Elisabetta Cameroni e Christian Saliba (Humabs), John E. Bowen (UW Biochemistry) e Laura Rosen (Vir).

Rapida diffusione della variante omicron
La variante omicron ha 37 mutazioni nella proteina spike, che usa per attaccarsi e invadere le cellule, questo è un numero insolitamente alto di mutazioni. Si pensa che questi cambiamenti spieghino in parte perché la variante omicron è stata in grado di diffondersi così rapidamente, di infettare le persone che sono state vaccinate e di reinfettare coloro che sono stati precedentemente infettati.
David Veesler ha detto:
«La domanda principale a cui stavamo cercando di rispondere era in che modo questa costellazione di mutazioni nella proteina spike della variante omicron ha influenzato la sua capacità di legarsi alle cellule e di eludere le risposte anticorpali del sistema immunitario».
David Veesler e i suoi colleghi ipotizzano che il gran numero di mutazioni omicron potrebbe essersi accumulato durante un’infezione prolungata in qualcuno con un sistema immunitario indebolito o dal virus che passa dall’uomo a una specie animale e viceversa.
I ricercatori per valutare l’effetto di queste mutazioni, per produrre proteine spike sulla sua superficie, come fanno i coronavirus, hanno ingegnerizzato un virus disabilitato e non replicabile, chiamato pseudovirus (le particelle pseudovirus (VLP) assomigliano ai virus in termini di organizzazione e struttura, ma non sono infettive perché non contengono materiale genetico virale). Hanno quindi creato pseudovirus che avevano proteine spike con le mutazioni degli omicroni e quelle trovate sulle prime varianti identificate nella pandemia.
I ricercatori hanno prima cercato di vedere quanto bene le diverse versioni della proteina spike fossero in grado di legarsi alle proteine sulla superficie delle cellule, che il virus usa per attaccarsi ed entrare nella cellula, questa proteina è chiamata recettore dell’enzima di conversione dell’angiotensina-2 (ACE2).
I ricercatori hanno scoperto che la proteina spike della variante omicron era in grado di legarsi 2,4 volte meglio della proteina spike trovata nel virus isolato all’inizio della pandemia.
David Veesler ha osservato:
“Non è un aumento enorme, ma nell’epidemia di SARS nel 2002-2003, le mutazioni nella proteina spike che hanno aumentato l’affinità sono state associate a una maggiore trasmissibilità e infettività”.
I ricercatori hanno anche scoperto che la variante omicron era in grado di legarsi efficientemente ai recettori ACE2 del topo, suggerendo che potrebbe essere in grado di fare “ping-pong” tra gli umani e altri mammiferi.
I ricercatori hanno quindi esaminato quanto bene gli anticorpi contro i precedenti isolati del virus proteggessero dalla variante omicron. Lo hanno fatto utilizzando anticorpi di pazienti che erano stati precedentemente infettati da versioni precedenti del virus, vaccinati contro ceppi precedenti del virus o che erano stati infettati e poi vaccinati. Hanno scoperto che gli anticorpi di persone che erano state infettate da ceppi precedenti e di coloro che avevano ricevuto uno dei sei vaccini più utilizzati attualmente disponibili avevano tutti una ridotta capacità di bloccare l’infezione.
È emerso che gli anticorpi di persone che erano state precedentemente infettate e di coloro che avevano ricevuto i vaccini Sputnik V o Sinopharm e una singola dose di Johnson & Johnson avevano poca o nessuna capacità di bloccare – o “neutralizzare” – l’ingresso della variante omicron nelle cellule. Gli anticorpi delle persone che avevano ricevuto due dosi dei vaccini Moderna, Pfizer/BioNTech e AstraZeneca hanno mantenuto una certa attività neutralizzante, sebbene ridotta da 20 a 40 volte, molto più di qualsiasi altra variante; anche gli anticorpi di persone che erano state infettate, guarite e che avevano ricevuto due dosi di vaccino avevano un’attività ridotta, ma la riduzione era inferiore, circa cinque volte, dimostrando chiaramente che la vaccinazione dopo l’infezione è utile.
Gli anticorpi di persone, in questo caso un gruppo di pazienti in dialisi renale, che avevano ricevuto un richiamo con una terza dose dei vaccini mRNA prodotti da Moderna e Pfizer/BioNTech hanno mostrato solo una riduzione di 4 volte dell’attività neutralizzante.
David Veesler ha detto: «Questo dimostra che una terza dose è davvero, davvero utile contro la variante omicron».
Lo studio ha evidenziato che in laboratorio tutti i trattamenti anticorpali tranne uno attualmente autorizzati o approvati per l’uso con pazienti esposti al virus, non avevano o avevano un’attività notevolmente ridotta contro la variante omicron. L’eccezione era un anticorpo chiamato sotrovimab, che aveva una riduzione da due a tre volte dell’attività neutralizzante, ma i ricercatori quando hanno testato un pannello più ampio di anticorpi che sono stati generati contro le versioni precedenti del virus, hanno identificato quattro classi di anticorpi che hanno mantenuto la loro capacità di neutralizzare la variante omicron. I membri di ciascuna di queste classi prendono di mira una delle quattro aree specifiche della proteina spike presente non solo nelle varianti SARS-CoV-2 ma anche in un gruppo di coronavirus correlati, chiamati sarbecovirus.
I ricercatori hanno detto che questi siti sulla proteina possono persistere perché svolgono una funzione essenziale che la proteina perderebbe se mutassero. Tali aree sono chiamate “conservate”.
David Veesler in conclusione ha detto:
«La scoperta che gli anticorpi sono in grado di neutralizzare tramite il riconoscimento di “aree conservate” in così tante diverse varianti del virus, suggerisce che la progettazione di vaccini e trattamenti anticorpali che colpiscono queste regioni potrebbe essere efficace contro un ampio spettro di varianti che emergono attraverso la mutazione».

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About Pino Silvestri

Pino Silvestri, blogger per diletto, fondatore, autore di Virtualblognews, presente su Facebook e Twitter.
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