Il peperoncino, da un punto di vista evolutivo, è il cugino sconosciuto, a lungo perduto del pomodoro. Si sono separati da un comune antenato 19 milioni di anni fa, ma condividono ancora parte dello stesso DNA. La pianta di pomodoro con raccolti abbondanti ha continuato ad avere un frutto carnoso e ricco di sostanze nutritive; la pianta di peperoncino più difficile da coltivare è diventata difensiva, per allontanare i predatori ha sviluppato i capsaicinoidi, le molecole che forniscono la piccantezza (il grado è valutato dalla Scala di Scoville).
I ricercatori in un articolo pubblicato il 7 gennaio 2019 sulla rivista Trends in Plant Science, sostengono che con le ultime tecniche di modificazione genetica, anche se impegnativo, potrebbero produrre, capsaicinoidi con il pomodoro. Il loro obiettivo non è quello di iniziare una nuova e piccante moda culinaria (anche se non è completamente fuori dal menù) ma di avere un mezzo più semplice per produrre grandi quantità di capsaicinoidi per scopi commerciali. Le molecole hanno proprietà nutrizionali e antibiotiche e sono utilizzate in analgesici e spray al peperoncino.
Agustin Zsögön, esperto in botanica, biologia molecolare e biologia dello sviluppo presso l’Università Federale di Viçosa in Brasile, principale autore dello studio, ha detto:
«Ingegnerizzare il percorso genetico dei capsaicinoidi per il pomodoro renderebbe più facile ed economico produrre questo composto, che ha applicazioni molto interessanti. Insieme al mio team stiamo lavorando per raggiungere quest’obiettivo, abbiamo gli strumenti potenti per progettare il genoma di qualsiasi specie, la sfida è sapere quale gene ingegnerizzare e dove».
Il gusto piccante che i capsaicinoidi aggiungono non è un gusto, ma una risposta alla stimolazione dei recettori del dolore da parte della capsaicina, è interpretata dal cervello come una sensazione di bruciore. Il sistema nervoso contiene delle proteine recettori del calore conosciute come TRPV1 recettori. Si trovano nella pelle e nell’apparato digerente e rimangono inattive finché non si è esposti a temperature che superano i 42 gradi centigradi. A questo punto s’inizierà a provare calore e dolore, per avvertirci di stare lontano dalla fonte di calore.
La capsaicina quando si mangia un peperoncino, si lega al recettore TRPV1 e lo attiva; quindi, anche se non si è in pericolo, il corpo penserà ugualmente di essere esposto a temperature elevate.
La ricerca suggerisce che l’evoluzione dei capsaicinoidi ha aiutato i peperoncini a scoraggiare i piccoli mammiferi dal mangiare i loro frutti. Gli uccelli non avvertono i suoi effetti e questo permette loro di spargere i semi di peperoncino per far sopravvivere la pianta.
Esistono almeno 23 tipi diversi di capsaicinoidi, hanno origine dal midollo del peperoncino. La piccantezza di un peperoncino è determinata dai geni che regolano la produzione di capsaicinoidi, quelli meno piccanti hanno mutazioni che influenzano questo processo. Precedenti lavori di sequenziamento genetico hanno dimostrato che i pomodori hanno i geni necessari per produrre i capsaicinoidi ma non hanno i meccanismi per attivarli.
Agustin Zsögön ha aggiunto:
«In teoria si potrebbero usare questi geni per produrre capsaicinoidi nel pomodoro. Poiché non abbiamo elementi completi sui modelli di espressione capsaicinoide nel frutto del pomodoro, dobbiamo provare metodi alternativi, per esempio, attivare singolarmente i geni candidati e vedere cosa succede, quali composti sono prodotti. Stiamo sperimentando questo e altro».
Il sequenziamento del genoma del peperoncino e la scoperta che il pomodoro ha i geni necessari per la piccantezza apre la strada alla progettazione di un pomodoro piccante.
I ricercatori hanno detto che il loro studio oltre ad aiutare a comprendere meglio l’evoluzione di questo singolare tratto botanico, permetterà lo sviluppo di biofabbriche di pomodori capsaicinoidi, probabilmente aprirà lo sviluppo di nuove varietà di prodotti nel settore alimentare.