I primi 100 giorni di supercarcere di Bernardo Provenzano: pizzini, cyclette e Bibbia

Si sveglia sempre all’alba. Alle 5 in punto, mai un minuto prima e mai un minuto dopo. Beve un sorso d’acqua e poi comincia a fare quello che ha sempre fatto: scrive, scrive i suoi "pizzini". Prende nota di tutto ciò che gli accade intorno, registra ogni parola scambiata con gli agenti di polizia penitenziaria, segna tutto su carta. Anche l’ultima pedalata sulla cyclette che gli hanno portato. Anche la cena della sera prima. E la visita del medico, l’incontro con il prete. È il suo diario da recluso. Vi raccontiamo i primi 100 giorni di Bernardo Provenzano nel super carcere di Terni.
Carta e penna, è l’ossessione del Padrino di Corleone. Carta, penna e un vocabolario che ha chiesto – e gli hanno dato – per scrivere di più e scrivere meglio. Vocaboli, definizioni, verbi. Per i suoi promemoria, gli appunti, i messaggi che invia a Dio e gli altri che ormai invia solo a se stesso.
Quella mania non l’ha perduta il boss dei boss dopo la cattura nelle campagne della sua Corleone, le abitudini di una vita non si perdono più a settanta anni passati. Neanche in quel grande bunker dove è rinchiuso dal pomeriggio dell’11 aprile 2006, data storica per la mafia e per l’antimafia, la fine di una fuga durata quasi mezzo secolo. E lì dentro, sepolto in un blocco speciale ancora più impenetrabile di quelli riservati agli altri pezzi da novanta, lo "zio" Bernardo dovrà restarci almeno per altri tre anni "in isolamento diurno e notturno".
Sorvegliato 24 ore su 24 da telecamere che riprendono ogni suo movimento. Microfoni che ascoltano anche il suo respiro. Un 41 bis ancora più duro del 41 bis, rinforzato per l’ospite più eccellente, soffocante. Potrà solo incontrare i suoi avvocati. E una volta al mese, sua moglie Saveria e i figli Angelo e Paolo.
Ogni giorno il Padrino apre gli occhi appena fa luce e si abbandona alla sua attività preferita: la traduzione in parola scritta di ogni attimo della sua esistenza. Un paio d’ore chino sul tavolo, la colazione con il caffè e il latte, ancora fogli da riempire di quelle sue frasi tribolate e poi le flessioni a terra per tenersi in forma. Da quando è incarcerato e non ha più lo stress da latitanza, ha messo su un paio di chili e un po’ di pancetta. Ginnastica in cella e una sgambatina nella stanza accanto, quella dove c’è la cyclette tutta per lui. Come tutta per lui è un’ala del carcere di Terni. Una prigione nella prigione.
È zona off limits quella dove vive il capo dei capi della mafia siciliana. Autonoma dal resto del penitenziario dove sono quasi in trecentocinquanta tra detenuti comuni e protetti e mafiosi, una fortezza avvolta nel silenzio, separata da spesse e alte mura di cemento armato. C’è la sua cella larga quattro metri e lunga tre e mezzo con il bagno separato e quella apertura che sembra quasi una finestra, sbarre inclinate e lamelle di acciaio "per non fare vedere il paesaggio" a lui e non far vedere lui agli altri che stanno fuori. E poi c’è un piccolo magazzino, la sala colloqui e la sala delle videoconferenze riservate esclusivamente al numero uno di Corleone. Dall’altra parte un cortile stretto, un camminamento. È lo spazio dove il vecchio Bernardo può trovare un po’ di sole e un po’ di cielo libero: la sua ora d’aria. Ne fa due ogni giorno. Mai di mattina, sempre nel pomeriggio: dalle 17 alle 19. Passeggia da solo. Solo come in fondo è sempre stato anche da latitante.
Porta i jeans, del tipo di quelli che aveva addosso la mattina dell’arresto. Di tela leggera, larghi, comodi. E si infila sempre quelle tre o quattro polo che si è fatto comprare appena dopo il suo arrivo a Terni. "Del colore non me ne importa, fate voi", ha fatto sapere agli agenti che passavano per chiedergli cosa avesse bisogno dall’esterno, il cosiddetto "sopra vitto" dei carcerati. Il padrino ha voluto quelle polo e, di settimana in settimana, ordina una cassa d’acqua minerale naturale. E dentifricio e sapone. Niente giornali.
Non legge quotidiani o riviste, Bernardo Provenzano vede solo la tivù. E soprattutto i tg. Sempre sintonizzato su Rai 2, quello delle 20.30 non l’ha perso una sola volta dal giorno che è entrato nella sua nuova "casa". I Mondiali non li ha visti mai. Nemmeno una partita. Neanche un gol. Mentre l’Italia giocava e vinceva, il mafioso preso nel casolare della Montagna dei Cavalli era concentrato sui suoi pensieri e sui suoi "pizzini".
Se una ossessione del boss che conoscevamo dalle indagini era la scrittura – sono 220 i fogli di carta che hanno trovato nel covo scalcinato dove si nascondeva – un’altra che sta rivelando in cattività è quella del cibo. Si è raccomandato già a metà aprile con tutti dentro il carcere, a cominciare dal direttore Francesco Dell’Aira. E ai suoi custodi ha rivolto una preghiera: "Per favore, solo cose leggere e mai piccanti, mi fanno male". È stato accontentato. Pasta in bianco, riso, poco pane, patate bollite, tante verdure. Il suo mangiare è quello "che passa il governo", quello che fino a una ventina di anni fa mafiosi piccoli e grandi avrebbero sdegnosamente rifiutato. Ma lui, in cella non può cucinare. E non può farselo portare da fuori il cibo.
Mangia quello che mangia il direttore del carcere e quello che mangiano tutti gli agenti. Alla mensa della polizia penitenziaria il "pasto" di Bernardo Provenzano lo preleva due volte al giorno – tenendo conto dei suoi gusti e delle sue sofferenze – un sottufficiale. Ha l’incarico di sigillarlo in un contenitore e portarlo personalmente e direttamente nella cella oltre il recinto proibito. Rigidissima la procedura, misure di sicurezza eccezionali per paura di un tentativo di avvelenamento.
Ecco la vita che fa il Padrino dopo quei quarantadue anni e sette mesi di mistero, dopo la più lunga latitanza che si sia mai consumata nella storia della mafia moderna.
E quando non scrive, il Padrino legge. Le sentenze di condanna che gli fanno avere i suoi legali, gli atti che gli notificano a raffica i magistrati delle procure siciliane. È sepolto dalle carte giudiziarie nella sua cella: dal primo mandato di cattura che nell’84 firmò il giudice Falcone dopo la "cantata" di Tommaso Buscetta all’ultima ordinanza di custodia cautelare di fine giugno sulle estorsioni di Palermo, dalle vecchie scartoffie del processo di Bari ai Corleonesi all’ultimo appello per la strage di Capaci. Legge fino a notte fonda lo "zio" Bernardo.
I suoi "pizzini". Le confessioni dei pentiti che lo accusano di ogni crudeltà. La Bibbia.
La direzione del carcere qualche settimana fa gliene ha fatta avere una nuova. Un magistrato l’ha comprata apposta per lui.
La sua, quella che aveva prima della cattura, è diventata "materia d’indagine", è finita sotto sequestro dei procuratori di Palermo. Qualcuno si era accorto che era tutta segnata, pagina dopo pagina. Messaggi in codice? "Dio ha voluto così", ha risposto Bernardo Provenzano quando i poliziotti gliel’hanno sfilata dalle mani per consegnarla ai decifratori dei codici corleonesi. "Dio ha voluto così". È questo che ripete quasi in trance il Padrino di Corleone le poche volte che apre bocca nel super carcere di Terni.
Fonte: Repubblica

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Comments ( 1 )
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  • aizarg

    Non ha nemmeno più “lo stress da latitanza”, sta meglio di noi! Tranquillo, rilassato,…

    Baciotto e felice serata per te, non per Provenzano*