Enigma dei rifiuti: la Tunisia non può gestire i propri rifiuti, quindi perché importa quelli europei?

Lo scandalo che ha coinvolto il Ministero dell’Ambiente tunisino rivela la natura complicata del greenwashing (strategia di comunicazione o di marketing perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo), sta annegando la Tunisia nella spazzatura. Mucchi di rifiuti domestici marciscono agli angoli delle strade nei quartieri popolari e di alto livello. Il lato di ogni strada principale è disseminato di mucchi di detriti di costruzione e innumerevoli sacchetti di plastica e bottiglie d’acqua vuote. La scorsa settimana, mentre la pioggia da record ha inondato il paese, dozzine di città e quartieri si sono allagati mentre i rifiuti hanno soffocato i canali sotterranei e gli scarichi mandando il deflusso nelle case e spazzando via le auto.
Nidhal Attia, coordinatore del programma per lo sviluppo sostenibile e politiche ambientali della Fondazione Heinrich-Böll-Stiftung di Tunisi, ha dichiarato:
«Siamo al picco dell’inquinamento, consumiamo senza barriere, ma una combinazione di corruzione, malgoverno, mancanza critica di infrastrutture e proliferazione della plastica negli ultimi anni fa sì che la crisi dei rifiuti in Tunisia continui ad accumularsi».
Tutti i rifiuti della Tunisia sono gestiti nelle discariche, la più grande del paese, a Borj Chakir, alla periferia della capitale Tunisi, riceve circa 3.000 tonnellate di rifiuti solidi il giorno, ben oltre le 44 tonnellate il giorno consentite nelle discariche dell’UE. Le comunità vicine sono inondate di sacchetti di plastica, la loro acqua è inquinata dal deflusso.
La Tunisia nonostante stia lottando per gestire i propri rifiuti, una rete di funzionari corrotti e di criminalità organizzata ha passato anni a importare i rifiuti europei con l’inganno e a scaricarli in discariche legali e illegali, ma alla fine dello scorso dicembre, uno scandalo ha scosso il Paese: Il Ministro dell’Ambiente Mustapha Laroui e altri 23 funzionari sono stati arrestati in relazione al trasferimento di container pieni di quasi 7.900 tonnellate di rifiuti domestici illegali da Napoli al porto di Sousse.
Le società italiane e tunisine coinvolte, che secondo l’accusa Mustapha Laroui e il suo ministero avrebbero favorito, avevano firmato un contratto del valore di 5 milioni di euro per smaltire 120.000 tonnellate di rifiuti italiani nelle discariche tunisine. Lo “scandalo dei rifiuti italiani”, come è stato definito, ha messo in luce la natura complicata del traffico di rifiuti e la ricerca dell’Europa di rendere ecologiche le sue industrie più sporche.

Non nel mio cortile
Lawrence Summers, all’epoca capo economista della Banca Mondiale, nel 1991 firmò una nota che difendeva la pratica pluridecennale del traffico di rifiuti dai Paesi sviluppati del Nord del mondo – dove le severe norme ambientali rendono costoso il loro smaltimento – ai Paesi meno sviluppati, nella nota si legge:
«Penso che la logica economica che sta dietro allo scarico di un carico di rifiuti tossici nel Paese con i salari più bassi sia impeccabile e che dovremmo affrontarla».
Indignazione e scandalo seguirono alla sua pubblicazione, ma le polemiche dell’epoca sollevarono il profilo di due trattati ambientali di recente stesura: la Convenzione di Basilea (è il principale trattato internazionale per la regolamentazione del movimento dei rifiuti pericolosi) e la Convenzione di Bamako (è stata concepita specificamente per vietare l’importazione in Africa di qualsiasi rifiuto che non possa essere riciclato, copre una varietà di rifiuti pericolosi più di quanto previsto dalla Convenzione di Basilea. Oltre ai materiali radioattivi, la convenzione elenca tutti i materiali con caratteristiche pericolose e i suoi prodotti costitutivi).
La Tunisia sebbene abbia firmato la Convenzione di Bamako, molti dei suoi vicini del Maghreb non l’hanno fatto. Il Marocco importava regolarmente rifiuti domestici dall’Italia e da altri Paesi dell’UE per bruciarli negli inceneritori dei cementifici, talvolta fino a 450.000 tonnellate all’anno prima che la pratica fosse vietata nel 2016.
Afef Marrakchi, professore di diritto ambientale nella città costiera di Sfax, definisce “terrorismo ambientale” la tendenza dell’Europa a esternalizzare i propri problemi ecologici al Sud globale. Ha sottolineato  margine di una conferenza delle Nazioni Unite sui rifiuti pericolosi e sullo scandalo italiano, che il trasporto dei rifiuti non è un crimine unilaterale. Ha dichiarato:
«La Convenzione di Basilea è stata ratificata sia dalla Tunisia sia dall’Italia, ma la violazione è stata commessa da un’azienda italiana da una parte e tunisina dall’altra, non è il diritto internazionale ad essere colpevole, ma le lacune e le disfunzioni a livello interno. Se vogliamo proteggere l’Africa da questo movimento transfrontaliero di rifiuti, è necessaria un’evoluzione del diritto nelle nazioni africane. La mancanza di una politica ecologica e di cooperazione tra le agenzie in Tunisia facilita l’ingresso dei rifiuti europei nei porti del Paese, agli agenti ambientali è vietato ispezionare le merci alla dogana, eliminando un secondo livello di sicurezza e di controllo, che i criminali hanno sfruttato».
Majdi Karbai, ex deputato tunisino del partito Corrente Democratica,  in esilio in Italia, ha sottolineato:
«Hanno un sistema di tipo mafioso su entrambe le sponde del mare, queste aziende hanno riconosciuto il funzionamento della rete amministrativa e autorizzativa tunisina, hanno trovato il modo di aggirarla. Il Ministero dell’Ambiente si è rifiutato di collaborare con le controparti italiane per indagare sull’incidente».
I container di rifiuti sono ancora fermi nel porto di Sousse il termine per il loro rientro in Italia è scaduto a gennaio. Afef Marrakchi ha affermato:
«La legislazione adattabile a livello nazionale e l’applicazione della legge possono svolgere un ruolo chiave nel bloccare le importazioni illegali di rifiuti, ma entrambi devono rimanere agili per affrontare il problema. Bisogna evolversi rapidamente perché anche la mafia si evolve rapidamente».

Sistema marcio fino al midollo
Il Ministero dell’Ambiente tunisino ha una lunga storia di scandali e appropriazione indebita di fondi, in particolare sotto la presidenza di Zine El Abidine Ben Ali tra il 1987 e il 2011. L’ispezione e verifica ufficiale della credibilità dei rendiconti finanziari da parte di osservatori indipendenti, dopo la rivoluzione del 2011 ha rilevato che “fondi colossali” sono stati convogliati attraverso il Ministero dell’Ambiente e le sue agenzie per progetti ambientali che non sono mai stati realizzati.
Faouzia Bacha Amdouni, avvocato che nel 2014 ha presentato i risultati dell’audit (precedentemente denominato “verifica ispettiva”), ha dichiarato:
«Il ministero dell’Ambiente è stato creato nel 2005 non per sviluppare politiche e progetti innovativi per il trattamento dei rifiuti o le stazioni di depurazione, ma per ricevere risorse dai donatori internazionali e investirle in progetti personali a beneficio dei clan al potere e dei loro parenti».
Faouzia Bacha Amdouni ha citato esempi di come l’élite abbia utilizzato il Ministero dell’Ambiente come fondo cassa, tra le spese effettuate: l’abbellimento della Carthage International School – la scuola privata gestita dalla moglie di Ben Ali – per circa 125.000 dollari; l’acquisto di un autobus per la campagna elettorale presidenziale; quasi 300.000 dollari per i giocattoli dei figli delle famiglie al potere; e una fattura del fiorista per 7.200 dollari.
Nidhal Attia ha detto:
«Dopo la rivoluzione, molti ex funzionari sono rimasti al loro posto, rendendo difficile un cambiamento significativo delle politiche. Lo Stato non ha affrontato il problema dei rifiuti, non si è nemmeno preso il tempo di iniziare a capirlo o di fare una scelta consapevole su come gestirlo. Molte delle aree di scarico ad hoc e incontrollate utilizzate negli anni ’90 sono diventate discariche controllate ma centinaia di discariche illegali esistono ancora in tutto il Paese e non c’è un piano comunale per il riciclaggio o il compostaggio, non si è pensato o investito molto per migliorare il sistema – dall’educazione del pubblico agli investimenti nelle infrastrutture – portando a “una lenta violenza” da parte dello Stato sulle comunità, la cui salute ne risente».
Gran parte della legislazione ambientale tunisina è vaga e incompiuta e le municipalità locali, cronicamente sottofinanziate e responsabili della raccolta dei rifiuti domestici, sono ancora in attesa della stesura delle leggi e dei decreti che regolano la spazzatura. La precedente strategia di gestione dei rifiuti solidi del Paese è terminata nel 2016, una nuova strategia deve ancora sostituirla ufficialmente.

Suonare l’allarme
Majdi Karbai ha detto:
«Dobbiamo dare l’allarme sull’esistenza di una crisi ambientale nel Paese, non vediamo ancora riconosciuto il problema».
Majdi Karbai e altri parlamentari dell’opposizione sebbene abbiano cercato di proporre delle soluzioni, queste si sono arenate nell’impasse del Parlamento.
Fadhel Kaboub, economista tunisino, ha detto:
«Questi fallimenti sono un problema cronico di pensiero a breve termine in un governo dove abbiamo ministeri senza politiche strategiche. Dobbiamo smettere di pensare alla gestione dei rifiuti come a un costo, un onere, un problema, e iniziare a pensare al costo dell’inerzia, alle opportunità economiche e ai rischi ambientali associati al breve termine».
In Tunisia nonostante il fallimento della legislazione, diverse organizzazioni di base stanno cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica e di immergersi – a volte letteralmente – nella riduzione dei rifiuti nelle discariche.
Nessim Zouaoui fondatore di Tounes Clean-up, un’organizzazione non governativa che si occupa della crisi dei rifiuti, ha dichiarato:
«Il ritorno in Tunisia dopo diversi anni di assenza è stato per me un campanello d’allarme. C’è questo bellissimo Paese che viene venduto ai tuoi amici come un paradiso, ma in realtà è disgustoso, pieno di plastica, letteralmente ovunque, non c’è posto in Tunisia dove non si possa trovare plastica, c’è anche nel deserto».
Nessim Zouaoui giovane imprenditore della Generazione Z, usa il suo senso degli affari per promuovere l’ambientalismo. I post su Facebook, realizzati con cura, invitano le comunità a partecipare alle giornate di pulizia degli spazi pubblici; su Instagram vengono condivise foto ben illuminate delle quantità sconvolgenti di rifiuti raccolti da spiagge, parchi e quartieri. Recentemente ha riunito un gruppo di snorkelisti (nuotano con maschera e boccaglio) e un gruppo di subacquei per rimuovere centinaia di chilogrammi di reti da pesca e attrezzature abbandonate nelle acque costiere.
Nessim Zouaoui sa che queste azioni sono solo una goccia nell’oceano, ma ritiene che stiano avviando una riflessione, ha detto:
«È più che altro una domanda è questo che vogliamo? Crescita illimitata? Ok, ma sacrificheremo l’ambiente naturale, la bellezza di ciò che abbiamo, e un giorno sarà tutto un blocco di cemento. E se questo – questo inquinamento, questa plastica – non è ciò che vogliamo, cosa possiamo sacrificare o cambiare per arrivare dove vogliamo?».

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About Pino Silvestri

Pino Silvestri, blogger per diletto, fondatore, autore di Virtualblognews, presente su Facebook e Twitter.
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