Bassi livelli di zinco nel corpo possono essere collegati alla depressione

Un gruppo di ricercatori del Sunnybrook Research Institute presso l’Università di Toronto, in Canada, recentemente è stato in grado di collegare lo sviluppo di depressione con bassi livelli di zinco nel corpo umano.
La ricerca è stata in realtà una meta-analisi degli studi disponibili sull’argomento, raccolto da un gran numero di riviste scientifiche. I dettagli della valutazione sono stati pubblicati nell’ultimo numero della stimata rivista scientifica Biological Psychiatry.
Gli scienziati guidati dall’esperto professore ricercatore Walter Swardfager, hanno misurato le concentrazioni ematiche circolanti di zinco in un numero di pazienti depressi e salutari. Il gruppo di ricerca ha stabilito che le persone che erano depresse, significativamente avevano minori quantità di sostanza chimica nel flusso sanguigno. Allo stesso tempo, la nuova documentazione scientifica indica che l’aggiunta di zinco alle terapie convenzionali antidepressive può migliorare la loro efficacia, e aumentare la loro velocità. E’ questo è solo l’ultimo di una serie di studi  sui disturbi mentali sugli effetti delle sostanze chimiche come lo zinco e litio.
Il ricercatore Walter Swardfager ha detto:
«Un crescente numero di evidenze come negli animali dimostra che la carenza sperimentale di zinco può indurre un comportamento depressivo, atteggiamento che può efficacemente essere invertito con il supplemento di zinco.
La nuova meta-analisi ha analizzato per il test un totale di 17 studi che hanno incluso 1.643 pazienti depressi e 804 soggetti sani. Lo scopo era di determinare se i bassi livelli di zinco nel sangue potrebbero essere associati con la depressione. I risultati sostengono di sì. Gli studi di associazione anche se non è in grado di determinare la direzione di causalità, è biologicamente plausibile un nesso causale tra i livelli di zinco e la depressione. Lo zinco ha proprietà antiossidanti, aiuta a mantenere l’omeostasi del sistema endocrino e la funzione immunitaria, e svolge molteplici ruoli nella regolazione [circuiti cerebrali] e la funzione cognitiva.
Le variazioni di zinco potrebbero compromettere la neuroplasticità e a lungo termine contribuire a malattie degenerative e alla neuropsicologica (si occupa prevalentemente dello studio delle funzioni cognitive e delle loro correlazioni con le strutture encefaliche; in particolare, la neuropsicologia clinica focalizza le relative alterazioni derivanti a danni anatomo-patologici di varia eziologia. I pazienti tipici saranno quindi soggetti cerebrolesi da lesioni traumatiche, vascolari, tumori cerebrali e malattie degenerative)».
Lo zinco è una sostanza chimica molto importante per il corpo umano, perché svolge un ruolo nel metabolismo degli acidi grassi e nel controllo dei livelli di lipidi nel siero.
Il team di ricercatori in conclusione ha detto:
«Bassi livelli di zinco nel sangue sono stati associati con lo sviluppo di malattie cardiovascolari e al disturbo depressivo maggiore (MDD), una condizione che spesso accompagna una grave forma di depressione. I rapporti fisiopatologici fra i livelli di zinco e la depressione, e i potenziali benefici del supplemento di zinco in pazienti depressi, richiedono ulteriori indagini».

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  • Kasey R. Slater

    Intanto però l’esposizione del feto al mercurio dentale materno mette vari tessuti specializzati (astrociti, etc.) in uno stato di pre-sensibilizzazione al mercurio, che ha una rilevanza per i successivi incontri-confronti con la tossina [Montinari 2001]. L’accumulo preferenziale del mercurio dentale materno nel feto è stato ripetutamente dimostrato: si raggiungono livelli quattro volte superiori a quelli riscontrati nella madre. Ciò contribuisce a proteggere la madre, ma aumenta il rischio di intossicazione da mercurio congenita. A Minamata, in Giappone, è stato notato che donne relativamente asintomatiche e con livelli di mercurio entro i range normali durante la gravidanza, partorivano bambini soggetti a sviluppare disabilità cerebrali a causa dell’intossicazione da mercurio” [Godfrey 1990]. Drasch [1994] effettua studi di autopsia e ne conclude che è il caso di riconsiderare l’uso di mercurio dentale nelle donne per tutta l’età fertile.