Attacco alla libertà di parola in atto in tutto il mondo

Martha O’ Donovan, venticinquenne americana, è in stato di fermo in Zimbabwe, accusata dalla polizia di aver insultato il presidente dello Zimbabwe e di aver complottato per rovesciare il suo governo. Il suo crimine? Presumibilmente ha inviato un tweet anonimo: “Siamo guidati da un uomo egoista e malato“, riferito a Robert Mugabe, presidente dello Zimbabwe, ha 93 anni, governa il paese da quasi quattro decenni.
Martha O’ Donovan una delle prime persone a subire l’attività del nuovo ministero dello Zimbabwe (inaugurato lo scorso mese, tratta la sicurezza informatica, l’individuazione e la gestione delle minacce), ha rifiutato fermamente le accuse, prevedono una pena detentiva fino a 20 anni di carcere. La polizia ha confiscato il suo passaporto, non può andare via.
In molte altre nazioni un semplice tweet su Twitter o condividere una poesia su Instagram può essere causa di fermo o di una pena detentiva.

Attacco alla libertà di parola in tutto il mondo
In Arabia Saudita, i tweet pro ateismo scoperti dalla polizia religiosa saudita hanno fatto condannare un uomo a 2.000 frustate e 10 anni di carcere; un altro uomo a essere condannato a morte.
L’anno scorso, un tribunale turco ha ritenuto la ventisettenne modella ed ex Miss Turchia, Merve Buyuksarac, colpevole di aver pubblicato su Instagram una poesia satirica sul presidente turco, condannandola a una pena detentiva di 14 mesi (in Turchia, il delitto d’insulto al presidente è punibile fino a quattro anni di carcere). Il tribunale turco ha sospeso la pena se l’imputata per i prossimi cinque anni non ricadrà nel reato per cui è stata condannata.
Nel 2012, nella città indiana di Mumbai, un lieve messaggio di protesta su Facebook ha portato all’arresto di un ventunenne studente in medicina e di un’amica che aveva “gradito” il suo post.
Molti paesi hanno inoltre ripetutamente interrotto o vietato l’accesso ai social media. La Cina ha vietato Facebook dal 2009, ma vieta anche Snapchat e più recentemente Pinterest. L’Iran blocca regolarmente l’accesso a Facebook, Twitter e YouTube. Il Vietnam permette l’accesso a Facebook, ma gli utenti che postano commenti critici al governo lo fanno a proprio rischio e pericolo.
Alcune nazioni europee ora limitano ciò che si può dire sui social media. La Germania il mese scorso ha messo in atto una legge che prevede multe molto salate, dai 5 ai 50 milioni di euro, per i social network che non eliminano i contenuti d’odio o le dichiarazioni diffamatorie, nei casi più gravi – come per i post che neghino l’olocausto – già entro 24 ore. Alle piattaforme con più di due milioni di utenti, quindi anche Facebook, Twitter e Youtube, la nuova norma approvata dal Bundesrat dà tre mesi di tempo per adeguarsi, per diventare operativa da gennaio 2018.

Libertà di parola