Peter Piot nel 1976 ha scoperto l’Ebola, ora teme una tragedia inimmaginabile

Peter Piot era un giovane ricercatore in un laboratorio di Anversa, quando un pilota della Sabena Airlines  (è stata la compagnia aerea di bandiera del Belgio fino al 2001, anno della sua chiusura), gli portò un campione di sangue di una suora belga, misteriosamente ammalata in Zaire. E’ stato intervistato da Rafaela von Bredow e Veronika Hackenbroch.

Professor Piot, come giovane scienziato ad Anversa, hai fatto parte del team che ha scoperto il virus dell’Ebola nel 1976. Com’è accaduto?

Ricordo ancora esattamente. Un giorno di settembre, un pilota della Sabena Airlines ci ha portato un thermos blu e una lettera di un medico a Kinshasa l’ex Zaire. La lettera riportava che nel thermos c’era un campione di sangue di una suora belga, da poco tempo ammalatasi di una misteriosa malattia in Yambuku, un remoto villaggio nella parte settentrionale del paese. Ci chiedeva di testare il campione per la febbre gialla.

L’Ebola in questi giorni può essere ricercata solo in laboratori ad alta sicurezza, in quel periodo come hai fatto a proteggerti?

Non avevamo idea di quanto fosse pericoloso il virus, in Belgio non c’erano laboratori di alta sicurezza. Abbiamo indossato i nostri camici bianchi e guanti di protezione, quando abbiamo aperto il thermos, il ghiaccio all’interno era in gran parte fuso e una delle fiale si era rotta. Il sangue e le schegge di vetro galleggiavano in acqua ghiacciata. Abbiamo preso l’altra provetta intatta, utilizzando i metodi standard del momento, abbiamo iniziato l’esame del sangue per gli agenti patogeni.

Apparentemente il virus della febbre gialla non aveva nulla a che fare con la malattia della suora

No. E i test per la febbre di Lassa (fa parte del gruppo delle febbri emorragiche virali – Fev) e il tifo erano negativi. Che cosa poteva essere? Le nostre speranze dipendevano dalla riuscita di essere in grado di isolare il virus dal campione. Per farlo, l’abbiamo iniettato in topi e altri animali da laboratorio. In un primo momento non è successo niente per diversi giorni. Abbiamo pensato che forse il patogeno era stato danneggiato dalla refrigerazione insufficiente nel thermos. Poi un animale dopo l’altro ha cominciato a morire. Ci siamo resi conto che il campione conteneva qualcosa di molto letale.

Avete continuato?

Altri campioni della suora che nel frattempo era deceduta, arrivarono da Kinshasa. Eravamo quasi in grado di iniziare l’esame del virus al microscopio elettronico, quando l’Organizzazione Mondiale della Sanità ci ha incaricato di inviare tutti i nostri campioni a un laboratorio di massima sicurezza in Inghilterra. Il mio capo, al momento non voleva terminare il nostro lavoro, afferrò una fiala contenente il virus per esaminarlo, la sua mano tremava lasciò cadere la fiala sul piede di un collega. Andò in frantumi, immediatamente abbiamo disinfettato tutto, per fortuna il nostro collega indossava scarpe antinfortunistiche con tomaia di cuoio rinforzata. Non è successo niente a nessuno di noi.

Alla fine, utilizzando il microscopio elettronico siete stati in grado di creare un’immagine del virus

Sì, e il nostro primo pensiero è stato: “Che diavolo è questo?” Il virus che abbiamo cercato per tanto tempo era molto grande, molto lungo e vermiforme. Non aveva somiglianze con la febbre gialla. Piuttosto, sembrava il virus di Marburg estremamente pericoloso che, come l’Ebola, provoca una febbre emorragica. Il virus nel 1960 ha ucciso diversi lavoratori del laboratorio a Marburg, Germania.

Avevi paura a quel punto?

Al momento non sapevo quasi nulla del virus di Marburg, quando lo dico ai miei studenti, pensano a una persona arrivata dall’età della pietra, in realtà sono andato in biblioteca per consultare un atlante di virologia. Poco tempo dopo sono stati i Centri americani per il Controllo delle Malattie a determinare che non era il virus di Marburg, ma un correlato, virus sconosciuto. Abbiamo anche appreso nel frattempo che in Yambuku e l’area circostante centinaia di persone avevano già ceduto al virus.

Pochi giorni dopo, sei diventato uno dei primi scienziati a volare nello Zaire

Sì. La suora morta e le sue consorelle erano tutte del Belgio. In Yambuku (è un piccolo villaggio nel Mongala distretto nel nord della Repubblica Democratica del Congo – ex Zaire) erano impegnate in un piccolo ospedale della missione. Il governo belga quando ha deciso di inviare qualcuno, immediatamente mi sono offerto volontario. Avevo ventisette anni mi sentivo un po’ come Tintin il mio eroe dell’infanzia. E, devo ammettere, sono stato inebriato dalla possibilità di rintracciare qualcosa di totalmente nuovo.

C’era spazio per la paura, o almeno di che preoccuparsi?

Naturalmente era chiaro che si trattava di una delle malattie infettive più mortali che il mondo avesse mai visto, non avevamo idea della sua trasmissione attraverso i fluidi corporei! Poteva essere stato trasmesso dalle zanzare. Abbiamo indossato tute protettive e guanti di lattice, ho anche preso in prestito un paio di occhiali da moto per coprire i miei occhi, ma nel calore della giungla era impossibile utilizzare le maschere antigas comprate a Kinshasa.
I pazienti Ebola che ho trattato oltre alla loro intensa sofferenza, probabilmente erano altrettanto sconvolti dal mio aspetto (con guanti, camice, maschera, occhiali di protezione, schermo facciale). Ho prelevato il sangue da circa dieci di questi pazienti. Ero maggiormente preoccupato di colpirmi accidentalmente con l’ago e infettarmi.

A quanto pare sei riuscito a evitare l’infezione

Beh, a un certo punto ho davvero sviluppato una febbre alta, mal di testa e diarrea …

Simili ai sintomi Ebola?

Esattamente. Ho subito pensato: “Accidenti, è questo!” Ma poi ho cercato di mantenere la calma. Sapevo che i sintomi potevano dipendere da qualcosa completamente diversa e innocua. Davvero per il caso peggiore sarebbe stato stupido trascorrere due settimane orribili in tenda d’isolamento che era stata istituita per noi scienziati. Sono andato nella mia stanza e ho aspettato. Naturalmente, non ho chiuso occhio, per fortuna il giorno successivo ho cominciato a sentirmi meglio. Era solo un’infezione gastrointestinale. In realtà, è la cosa migliore che possa accadere nella vostra vita: si guarda la morte negli occhi, ma si sopravvive. Ha cambiato il mio approccio, tutta la mia visione della vita.

Hai attribuito il nome al virus. Perché Ebola?

Il nostro team quel giorno restò fino a tardi a discutere l’argomento, sicuramente non volevamo dare al virus patogeno il nome di “virus Yambuku”, perché avrebbe per sempre penalizzato il luogo. C’era una mappa appesa al muro, il nostro team leader americano suggerì di cercare il fiume più vicino e assegnare il suo nome al virus. Era il fiume Ebola. Intorno alle quattro del mattino avevamo trovato un nome. La mappa era piccola e inesatta, abbiamo saputo solo più tardi che il fiume più vicino in realtà era un’altro. Ebola è un bel nome, non è vero?

Alla fine, hai scoperto che le suore belghe inconsapevolmente avevano diffuso il virus. Com’è successo?

Le suore nel loro ospedale hanno somministravano alle donne in gravidanza iniezioni di vitamine con aghi non sterilizzati. In questo modo, con il virus hanno infettato molte giovani donne in Yambuku. Errore terribile fatto dalle suore. Guardando indietro posso dire che siamo stati sin troppo precisi con le parole. Le cliniche che non hanno osservato questa e altre norme d’igiene hanno funzionato come catalizzatori in tutti i successivi focolai di Ebola. Hanno drasticamente accelerato la diffusione del virus o reso possibile la diffusione. E’ accaduto anche all’inizio dell’attuale epidemia di Ebola negli ospedali dell’Africa occidentale.

Dopo Yambuku, hai dedicato trent’anni della tua vita professionale alla lotta contro l’Aids. Ora è tornato il problema dell’Ebola. Scienziati americani in definitiva temono che centinaia di migliaia di persone possano essere infettate. Ti aspettavi una tale epidemia?

No, per niente. Al contrario, ho sempre pensato che l’Ebola, in confronto all’Aids o la malaria, non ha presentato un gran problema, perché i focolai erano sempre brevi e circoscritti. Intorno al mese di giugno per me è diventato chiaro che c’era qualcosa di fondamentalmente diverso su questa epidemia. All’incirca nello stesso periodo, l’organizzazione umanitaria Medici Senza Frontiere ha lanciato l’allarme. Noi fiamminghi tendiamo a essere piuttosto impassibili, ma è stato a quel punto che ho cominciato a essere davvero preoccupato.

Perché una reazione così tardiva?

Da un lato, è stato perché il loro ufficio regionale africano non è gestito con persone più esperte ma con nomina politica. La sede a Ginevra ha subito grandi tagli di bilancio che erano stati concordati dagli Stati membri. Il dipartimento per la febbre emorragica e il responsabile per la gestione delle emergenze epidemiche sono stati colpiti duramente, solo da agosto ha riacquistato un ruolo di leadership.

Vi è in realtà una procedura consolidata per limitare i focolai di Ebola: isolando quelli infetti ed esaminando scrupolosamente le persone con cui sono stati in contatto. Tutto quello che stiamo vedendo come può trasformarsi in catastrofe?

Penso che sia quello che la gente chiama una tempesta perfetta: quando ogni singola circostanza è leggermente peggiore rispetto al normale, poi si combinano per creare un disastro. L’attuale epidemia di Ebola sin dall’inizio ha mostrato fattori sfavorevoli: alcuni dei paesi coinvolti erano appena emersi da terribili guerre civili, molti dei loro medici erano fuggiti e i loro sistemi sanitari erano crollati. Esempio su tutti la Liberia con appena cinquantuno medici nel 2010, molti di loro sono morti di Ebola.

Il fatto che l’epidemia è iniziata nella regione di confine densamente popolata tra la Guinea, la Sierra Leone e la Liberia …

E’ un fattore che ha contribuito alla catastrofe per l’estrema mobilità delle persone, è stato più difficile del solito rintracciare chi aveva avuto contatti con le persone infette. Tradizionalmente in questa regione i morti sono sepolti nelle città e nei villaggi in cui sono nati, ciò ha causato alti contagi di Ebola da contatto con i cadaveri, con le persone che poi in taxi e altri mezzi viaggiavano avanti e indietro attraverso i confini. Il risultato è stato di far divampare l’epidemia in luoghi diversi.

Per la prima volta nella sua storia, il virus ha raggiunto anche metropoli come Monrovia e Freetown. E’ la situazione peggiore che può accadere?

Nelle grandi città – in particolare nelle caotiche baraccopoli – è praticamente impossibile trovare chi ha avuto contatto con i pazienti. Ecco perché sono così preoccupato per la Nigeria, paese con mega città come Lagos e Port Harcourt, se il virus Ebola alloggia lì e comincia a diffondersi, sarebbe una catastrofe inimmaginabile.

Abbiamo perso completamente il controllo dell’epidemia?

Sono sempre stato un ottimista, credo che ora non abbiamo altra scelta che provare tutto, proprio tutto. E’ bene che gli Stati Uniti e alcuni altri paesi stanno finalmente cominciando ad aiutare, anche se la Germania o il Belgio, per esempio, devono fare molto di più. Dovrebbe essere chiaro a tutti: questo non è solo un’epidemia, si tratta di una catastrofe umanitaria. Non abbiamo bisogno solo di personale di assistenza, ma anche di esperti di logistica, camion, jeep e cibo. Tale epidemia può destabilizzare intere regioni. Posso solo sperare che saremo in grado di farlo sotto controllo, non ho mai pensato che si sarebbe arrivati a questa situazione.

Che cosa si può davvero fare in una situazione in cui chiunque può infettarsi per le strade e, come in Monrovia, anche con i taxi contaminati?

Abbiamo urgente bisogno di elaborare nuove strategie. Attualmente il personale in centri di trattamento non è più in grado di prendersi cura di tutti i pazienti, quindi gli operatori sanitari devono insegnare ai membri della famiglia che fornisce assistenza ai pazienti, per quanto possibile come proteggersi dalle infezioni. In questo momento sul posto è la sfida più grande per il lavoro educativo. La Sierra Leone nel tentativo di ridurre la curva dell’infezione ha sperimentato un coprifuoco di tre giorni. In un primo momento ho pensato che fosse un’idea completamente pazza, ora mi chiedo, “perché no?” Almeno, fino a quando tali misure non sono imposte con il potere militare.

Un coprifuoco di tre giorni sembra un po’ disperato

Sì, è piuttosto medievale. Ma cosa si può fare? Anche nel 2014, non abbiamo avuto alcun modo per combattere questo virus.

Pensi che potremmo essere di fronte l’inizio di una pandemia?

Ci saranno sicuramente i pazienti Ebola dall’Africa che verranno da noi nella speranza di ricevere un trattamento, ed è probabile che loro infettino anche alcune persone qui prima di morire. In Europa o Nord America il focolaio sarebbe immediatamente messo sotto controllo. Sono più preoccupato per le molte persone provenienti dall’India che lavorano nel commercio o nell’industria in Africa occidentale, basterebbe solo uno di loro infetto, recarsi in India per visitare i parenti durante il periodo d’incubazione del virus, e poi, una volta che si ammala, recarsi in un ospedale pubblico. Medici e infermieri in India spesso non indossano guanti di protezione, sarebbero immediatamente infettati, pronti a diffondere il virus.

Il corredo genetico del virus è in continua evoluzione, più persone che s’infettano, maggiori sono le probabilità di una sua mutazione?

Gli esseri umani sono in realtà solo un ospite accidentale per il virus. Dal punto di vista di un virus, non è auspicabile per la sua accoglienza, all’interno del quale l’agente patogeno spera di moltiplicare, morire così in fretta, sarebbe molto migliore per il virus permetterci di rimanere in vita più a lungo.

Potrebbe il virus improvvisamente cambiare e diffondersi attraverso l’aria?

Come il morbillo, vuoi dire? Per fortuna è estremamente improbabile, comunque una mutazione che consenta ai pazienti di Ebola di vivere un paio di settimane in più è certamente possibile e sarebbe vantaggioso per il virus, consentirebbe ai pazienti di Ebola di infettare molte più persone di quanto, avviene in questo momento.

Ciò è solo una supposizione, non è vero?

Certamente. E’ solo uno dei tanti possibili modi per il virus di cambiare e diffondersi più facilmente. Ed è chiaro che il virus sta mutando.

Tu e due colleghi avete scritto un articolo per il Wall Street Journal, sostenete l’utilizzo di farmaci sperimentali. Pensi che potrebbe essere la soluzione?

I pazienti probabilmente potrebbero essere trattati più rapidamente con siero di sangue prelevato da sopravvissuti all’Ebola, anche se questo sarebbe veramente difficile, date le caotiche condizioni locali. Abbiamo bisogno di sapere ora se questi metodi, o se i farmaci sperimentali come lo Zmapp, possono davvero aiutare. Sicuramente in questa epidemia non dovremmo basarci interamente sui nuovi trattamenti, per la maggior parte delle persone arriveranno troppo tardi, saranno utili per la prossima epidemia.

Sono iniziati i test con due vaccini. Ci vorrà un po’ di tempo, ovviamente, ma potrebbe essere che solo un vaccino sarà in grado di fermare l’epidemia?

Chi lo sa? Forse.

Nello Zaire durante quel primo focolaio, un ospedale con scarsa igiene è stato responsabile per la diffusione della malattia. Oggi sta accadendo quasi la stessa cosa. Louis Pasteur aveva ragione quando diceva: “I microbi avranno l’ultima parola”?

Certo, siamo molto lontani da dichiarare vittoria su batteri e virus, l’HIV è ancora qui, nella sola Londra ogni giorno sono infettati cinque gay. Un numero crescente di batteri sta diventando resistente agli antibiotici. E’ molto deprimente continuare a vedere i pazienti Ebola in Yambuku, nelle loro baracche senza poter far altro che lasciarli morire.
Tutto ciò mi fornisce anche una forte motivazione a fare qualcosa. Io amo la vita. Ecco perché sto facendo tutto il possibile per convincere i potenti di questo mondo per mandare finalmente aiuto sufficiente per l’Africa occidentale. Ora!

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Pino Silvestri, blogger per diletto, fondatore, autore di Virtualblognews, presente su Facebook e Twitter.
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